ONTOLOGIA NEGATIVA
- Gli oscurantisti dell'Illuminismo e la metafisica storica della Modernità -
di Robert Kurz
La metafisica storica borghese del "progresso" ed il relativismo storico borghese
Rimane da sapere qual è la comprensione della storia che una tale anti-modernità emancipatrice andrà a sviluppare. L'idea di un progresso "inevitabile" (che farebbe seguito ad una presunta legge naturale) secondo dei gradi di sviluppo che si vanno succedendo pacificamente, un anno dopo l'altro, con la modernità come suo massimo esponente, rimane talmente fuori discussione quanto la glorificazione e la romanticizzazione di qualsiasi relazione di feticcio premoderna. E' proprio in questo senso che anche il cosiddetto materialismo storico diventa insostenibile, dal momento che si è rivelato una mera appendice della metafisica storica illuministica. Superare il modus della logica identitaria significa anche smettere di costruirsi un sistema chiuso della storia che appare avere pieno significato solo in sé stesso. La metafisica storica dell'illuminismo, come la moderna "forma del soggetto", non deve essere solo sostituita da qualcos'altro, ma deve piuttosto essere superata non solo in quel che dice rispetto al suo contenuto, ma anche in quanto forma di pensiero.
Tutto quel che Marx ha detto in quanto "materialista storico" è, in sostanza, giusto; quello che succede però è che si applica solamente al capitalismo, alla moderna socializzazione del valore, non suscettibile di una proiezione sulle formazioni sociali premoderne. Il fatto per cui lo schema non si applicasse in nessun modo a quelle formazioni, è già stato notato molte volte, anche da parte dei marxisti; ma questo problema non è mai stato debitamente tradotto in concetti, essendo stato invariabilmente utilizzato per legittimare l'abbandono della critica economica radicale di Marx, oppure è stato nascosto, per quanto possibile, per mezzo di ogni tipo di pezza concettuale "dialettica".
Il modo più ovvio per sbarazzarsi apparentemente del problema consiste nell'adottare la postura di un relativismo ed un agnosticismo storico. Non potremmo semplicemente dire a noi stessi che abbiamo solo il compito storico di vederci liberi dal capitalismo, in quanto distruttiva società mondiale della dissociazione e del valore, e che possiamo lasciare il resto della Storia alle impenetrabili brume del passato ed ai suoi morti? In questo modo la faremmo finita con una teoria che vale solamente per la socializzazione del valore della modernità, rimanendo così senza alcuna teoria riguardo la storia restante.
Ma non dev'essere poi così tanto facile superare il modus della logica identitaria. Fa parte dell'essenza umana cercare di avere un'idea del passato. L'archeologia, la critica dei testi storici, la ricerca delle fonti, ecc., non si concluderanno certo insieme con la logica del valore. Le ricerche puramente empiriche, d'altra parte, sono un'impossibilità logica e pratica, dal momento che necessitano sempre di un quadro concettuale. Insieme al modus della logica identitaria, non può finire anche la generalità del pensiero concettuale della storia.
Soprattutto, però c'è da dire che il relativismo e l'agnosticismo storico non sono niente di nuovo, e neppure costituiscono un superamento della metafisica storica dell'illuminismo, visto che me sono parte integrante. Già il XIX secolo ha prodotto questo storicismo ermeneutico, il cui credo è stato riassunto dallo storico tedesco Leopold Ranke nelle sue famose parole secondo le quali "Qualsiasi epoca è ugualmente vicino a Dio", ossia, ha la sua rispettiva logica ed il suo proprio diritto a non essere misurata con il calibro della modernità. Come ha recentemente dimostrato il collega di Ranke, nostro contemporaneo, Reinhart Kosellek, le tracce di questa "politica della relativizzazione", per quanto riguarda la teoria storica, si trovano nel pensiero illuminista dello stesso XVIII secolo. Questo indica che il relativismo storico non si trova necessariamente in opposizione all'apoteosi storica della razionalità borghese.
In realtà, gli enunciati centrali di questo relativismo e di questo agnosticismo sono, innanzitutto, banali. Così, esso afferma che non possiamo formulare un qualsiasi giudizio sicuro circa le situazioni premoderne e preistoriche, dal momento che, puramente e semplicemente, non stiamo nei panni delle persone del passato. E neppure un'osservazione un poco più riflessa - dal momento che qualsiasi teoria storica riflette, in una certa misura, il "punto" storico nel quale noi stessi ci troviamo, in quanto esso determina la nostra prospettiva - risolve il problema in maniera soddisfacente. Questo è dovuto soprattutto al fatto che queste affermazioni sono di carattere puramente e semplicemente affermativo: si tratta di un relativismo storico secondo l'indolente motto "vivi e lascia vivere", che si limita a integrare e a fiancheggiare la metafisica storica illuminista. Allo stesso tempo, trasuda da tutti i pori l'euforia sviluppista di Hegel: c'è qualcosa di disgustosamente arrogante nell'atteggiamento di chi riconosce nelle situazioni sociali del passato la sua stessa legge, la sua stessa "vicinanza a Dio", il suo stesso modus; approssimativamente, sarebbe come se un borghese adulto, maltrattato nella sua razionalità, accondiscendesse ad ammettere nello stato dell'infanzia una giocosa "auto-valorizzazione". In fin dei conti tutto si risolve nell'affermazione per cui la meravigliosa modernità possiede il suo proprio valore ed il suo diritto di esistere, così come il passato che, tuttavia, ha il vantaggio di essere morto e sepolto e di non poter difendersi con una simile giocosità.
Quello che manca al mero relativismo storico è il sale nella sua minestra, in particolare la critica radicale. Dalla prospettiva di una critica fondamentale della modernità illuminista, però, non può aver luogo una riconciliazione giocosa con la storia premoderna, nella quale la modernità dopo tutto è radicata. Il paradigma di un'anti-modernità emancipatrice non si trova, pertanto, caratterizzato dalla glorificazione, e nemmeno dal riciclaggio, ma, semmai, dalla critica radicale delle forme sociali premoderne; una critica che si trova logicamente integrata nella critica radicale della modernità. Su questo punto essa si distingue in maniera fondamentale dalla critica illuminista della pre-modernità per mezzo dell'auto-affermazione della modernità, così come dalla critica anti-illuminista della modernità attraverso l'affermazione della società agraria premoderna. La posizione dell'anti-modernità emancipatrice, al contrario, giustifica la critica della modernità attraverso la critica della pre-modernità che è in essa inclusa, e viceversa.
La critica fondamentale delle formazioni premoderne può, senza dubbio, poggiare su una determinata conoscenza. Anche quando le fonti sono più o meno scarse, e anche quando possiamo difficilmente rivivere la coscienza del mondo nelle situazioni di un passato remoto, si può provare, senza margine di dubbio, che ad essere in causa sono sempre state le relazioni di dominio dotate di potenziali distruttivi. Ugualmente, può essere provata sulla base di documenti e manufatti la sofferenza permanente dovuta a queste situazioni in cui gli individuo non hanno mai potuto adattarsi, nemmeno nel passato premoderno.
Le teorie ideologiche affermative della storia della modernizzazione abitualmente rimuovono la considerazione per cui "l'Uomo", puramente e semplicemente, è così, e che la storia dell'umanità dev'essere considerata una storia permanente di sofferenza. Al contrario, un'anti-modernità emancipatrice includerà, nella sua critica la moderna relazione di valore e di dissociazione, la critica di questa falsa ontologia della storia e, con essa, in maniera generale, la critica di tutta la storia precedente, operando così una rottura storica di ordine superiore. Contrariamente al relativismo storico (esso stesso di segno illuminista), la critica delle situazioni pre-moderne non solo è permessa ma è anche necessaria; ma non lo è dal punto di vista e con il calibro della modernità produttrice di merci, ma lo è solo dal punto di vista e con il calibro di una critica non meno radicale della modernità stessa.
Senza la dimensione critica, appare il denominatore comune affermativo delle diverse, ed apparentemente contrarie, teorie storiche, o "filosofie storiche". Sia sotto la forma di una storia del progresso quasi obbligatorio, nella quale le società premoderne sono squalificate come appartenenti alle tenebre dell'attaccamento alla natura e dall'irrazionalità; o, al contrario, come forma di glorificazione e di romanticizzazione reazionaria delle relazioni di feticcio e, di conseguenza, di dominio; oppure come "riconoscimento" arrogante della specificità per mezzo della mera relativizzazione; oppure, ancora, ideologizzate sotto la forma dell'eterno ritorno dello stesso per quanto riguarda la sofferenza necessaria richiesta dalla legge naturale e dal dominio: invariabilmente, il contenuto reale della storia e delle formazioni storiche finisce per essere così indifferente a questo pensiero come gli oggetti del mondo, in maniera generale, sono indifferenti all'astrazione del valore. Si tratta sempre di un equivoco, si tratta della strumentalizzazione della storia attraverso le legittimazione dell'esistente, per quanto contraddittorie e divergenti tali strumentalizzazioni possano essere.
- Robert Kurz -
- 5 di 8 – continua … -
fonte: EXIT!