L'amore è uno di quei temi infiniti, ricorsivi,
millenari, che oggi più che mai possono permettere una poesia di
"azione", dilagante, teatrale, espressionista. Come elemento fondante
della psiche umana, esso è "cronico". Prima ancora è stato sacro, ed è
stato una delle prime cose ad avere un nome, finchè di esso, nella
modernità liquida di oggi, non ci è rimasto che quel nome, come la rosa
di Bernardo citata da Eco. L'amore è anche forse la cosa più soggettiva
che esista, e pertanto ogni tentativo di condivisione artistica
dell'esperienza è l'espressione di una rischiosa volontà di
rappresentazione, o un esorcismo. La poesia è tentativo di dare una
definizione, una sostanza all'amore, pur partendo dalla consapevolezza
dell'inanità dello sforzo. Il tentativo è scavo, e lo scavo, in poesia,
non può che effettuarsi all'interno del linguaggio, della sua
potenzialità connotativa, delle sue dinamiche espressive, delle sue
torsioni, come in questo testo di Viviana Scarinci. Nato per essere detto, recitato, ispirato in parte alle visioni spietate del pittore Sergio Padovani
con cui dialoga, il testo di Viviana impone espressivamente quella
soggettività di cui si diceva prima, ma non essendoci posto qui per
nessun "io" (la visione è per definizione un "altro da sè" che invade) e
marcando nel contempo una distanza anche dal corpo, che,
dicevo altrove, è ormai da tempo un topos di parte della poesia
femminile contemporanea, dapprima come riappropriazione, poi nuovo
terreno di disagio e luogo in cui si incrociano ancora problematiche
irrisolte. Qui la poesia, stesa in lunghe pennellate orizzontali di
sensazioni trafitte dall'intelletto, si fa in un certo senso
"concettuale", le domande, le ipotesi, i dubbi sull'essenza dell'amore
vengono "eseguiti", rappresentati e porti come pensiero e riflessione sulle sue sembianze ingannevoli attraverso un linguaggio che è trasparente e scomponibile e insieme
misterioso e sibillino. In altre parole, anch'esso - qui - "una bestia
cronica che sembra un giocattolo", "una chimera che non assolve i fatti", ma "li assorbe nella spugna capovolta dei sogni".
L’amore è una bestia cronica
“il desiderio di tutti i miei personaggi è quello di avvicinarcisi il più possibile … qualunque cosa significhi…A mettere in scena questo piccolo romanzo da teatrino di periferia, sono due corpi confusi, nel sesso e nelle forme, nella postura e addirittura nell'ambientazione. Non è chiaro chi sia il protagonista dell'opera”s.p.
Se l’amore fosse tutto occhi e gli occhi fossero due bambini
litigiosi fino voltarsi le spalle, sarebbe la cecità
Il colore che li comprende smetterebbe l’agitazione
prosciugato nella secca di una forra, un botro profondissimo
scavato dal ricordo dell’acqua Se gli occhi fossero due bambini
nello spavento notturno non sarebbero due spille spiaggiate
che appuntano ferite alla luna ma la sagoma offesa di un relitto
Se gli occhi si svestissero sarebbe due fantocci che celiano il firmamento
E se l’amore fosse uno sguardo sarebbero un ragazzo che non vuole niente
Forse l’amore è lo schianto per fusione di una differenza
che pure non pensa al confronto, sul marciapiede del risveglio
gettata com’è senza preavviso, né sussistenza che pure
devi garantire al corpo, nonostante la deflagrazione
con le sue anomalie di lunga e corta gittata, corta come l’amore
compulso che becca doloso la distanza
dal precedente identico, per farsi senza precedenti l’unico
fatto commensurabile, e lunga lunghissima gittata il travaglio
orizzontale che ne viene L’amore è una bestia cronica
che sembra un giocattolo L’amore è un organo inflazionato
una fluttuazione drenante il corpo su scenari vacui L’amore
scompone gli oneri inconsulti delle piccole piaghe, dissangua
senza fine memorie capovolte a svuotarsi Forse l’amore è
una chimera che non assolve i fatti, anzi li assorbe
nella spugna capovolta dei sogni, come l’appetenza vuota
e lontana di un trogolo infiorato tra le fanghiglie duttili e lussureggiante
e l’inciso pacioso di un grugnito che significa tutto Forse è il porco
di peso sollevato al giogo delle altezze che mente franchigie superiori
O
la lingua sonora di una decade di grigi riarsi
che slavano il basso della torba con un’eco di vetro e polveri
scomposte nella facezia del cammino Forse
l’amore è un’allergia che poi entra in gioco
una ferma miscredenza sull’allergene che gli confonde i fiori
che lo estenua e che lo finge che lo arde di continuo sotto le meningi
lo buca, lo inghiotte, prolifera muco nei turbinati convulsi
e nell’unica profumazione sua, lo respira Forse
l’amore è questa mattanza nel profondo delle labbra
nonostante il risaputo sia querulo come il pantalone stellato
con cui non osi dormire E’ la gorgiera scollata di ogni decadenza
e il cane inalberato del distacco E’ la preghiera che pregando espia
il pregato Il lacerto, il travaglio fobico di un copione strappato Il sandalo
sfatato che calza discordia, la colonna obliterata delle scelte
la scapola crollata che astiene un vagito sorridendo
Le opere pittoriche sono di Sergio Padovani. Nato a Modena nel 1972 dove
vive e lavora, ha vinto il Premio Arte Laguna 2009. E’ finalista al
premio Combat 2010. (http://www.sergiopadovani.it/)
Nell'ordine:
L'amore dalla serie Il tuo silenzio è una vergine illuminata
L'amore è un cane dall'inferno dalla serie Il tuo corpo è il dolce vilipendio
Il tuo forsennato amore da mattatoio dalla serie L'Apocalisse ti dona
Su, di, intorno a Viviana Scarinci QUI