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Viviane

Creato il 07 giugno 2015 da Veripaccheri
Viviane di  Ronit Elkabetz con Shlomi Elkabetz con Simon Abkarian, Gabi Amrani, Dalia Beger, Shmil Ben Ari Israele, Francia, Germania, 2014 genere, drammatico durata, 115'  
VIVIANE Dopo aver partecipato alla sessantasettesima edizione del Festival di Cannes, GETT: The Trial of Viviane Amsalem, è stato candidato alla settantaduesima edizione del Golden Globe come Miglior Film straniero, dove è però stato battuto da Leviathan di Andrey Zvyaginstev. Il film narra la triste vicenda della cinquantenne ebrea Viviane (Ronit Elkabetz, co-sceneggiatrice e co-regista dell’opera assieme al fratello Shlomi), che, aiutata dal solo avvocato laico Carmel (Menashe Noy), tenta di ottenere il divorzio dal marito Elisha (Simon Abkarian), difeso dal fratello e rabbino Shimon (Sasson Gabay). L’opera, profondamente radicata nello specifico ambiente di cui declina temi e problemi, porta in scena con una regia quasi teatrale, un processo – GETT è infatti termine ebraico che designa l’atto del divorzio –, che sconfinerà ampiamente i limiti dell’iter giudiziario necessario per lo scioglimento del vincolo matrimoniale, per sfociare in un vero e proprio giudizio qualitativo sulla persona e sulla condotta della donna.
L’ambientazione, chiusa tanto da divenire claustrofobica per lo stesso spettatore – la vicenda si sviluppa infatti solo tra l’aula di tribunale e la saletta d’attesa contigua –, è registrata dall’occhio fisso della camera, che, incendendo lentamente su volti, gesti ed espressioni in lunghi primi piani che ricordano La Passione di Giovanna d’Arco di Carl Dreyer, rende l’ambiente emblema della stasi e della chiusura della società ebrea ortodossa che ritrae.
La gabbia in cui la donna si trova bloccata per volontà dei suoi padroni – i rabbini del supremo tribunale ebraico e il marito –, ritratta da una fotografia quasi manichea in cui il bianco e il nero accentuano il patetismo della situazione, è solo un elemento di quella folle e insensata burocrazia giudiziaria, di kafkiana memoria, contro cui la protagonista dovrà lottare per ottenere la libertà dal marito.
VIVIANE Se da un lato l’opera ricorda, per le tematiche trattate, l’iraniano Una separazione – vincitore del Premio Oscar come miglior film straniero nel 2012 e dell’Orso d’Oro alla sessantunesima edizione del Festival di Berlino –, i fratelli Elkabetz sono in grado di conferire alla tormentata vicenda di Viviane un senso in nausea e insensatezza, assente nella più composta pellicola di Asghar Farhadi. Pur denunciando e mostrando senza indulgenza alcune specifiche realtà della cultura ebraico-israeliana – dalla pervasività della religione, a una liturgia anche gestuale che deve essere recitata dalla donna nell’atto di “accogliere” l’istanza di divorzio –, la vicenda è per certi aspetti condivisibile ben oltre i confini dello Stato di Israele, divenendo emblematica della condizione della donna – intesa quale minoranza da tutelare – e del senso di frustrazione che deriva dalla fine di un rapporto, in cui l’amore e la passione cedono il passo a un ingiustificato senso di possesso. GETT: The Trial of Viviane Amsalem, tradotto in Italia come Viviane, è un’opera lunga e complessa, ma incredibilmente profonda e delicata, capace di far vivere allo spettatore il senso di cecità della ragione contro cui la protagonista si trova a dover combattere. Erica Belluzzi

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