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Tavole Introdotte da terzine della Divina Commedia di Dante Alighieri
INVIDIA
E ’l buon maestro: "Questo cinghio sferza la colpa della invidia, e però sono tratte d’amor le corde della ferza. Lo fren vuol essere del contrario sono: credo che l’udirai, per mio avviso, prima che giunghi al passo del perdono. (Purg. XIII, 37-42)
Di vil ciliccio mi parean coperti, (Purg. XIII, 58)
E come alli orbi non approda il sole, così all’ombra quivi, ond’io parlo ora, luce del ciel di sé largir non vole; ch’a tutti un fil di ferro i cigli fora e cuce sì, come a sparvier selvaggio sì fa però che questo non dimora. (Purg. XIII, 67-72)
Savia non fui, avvegna che Sapia fossi chiamata, e fui delli altrui danni più lieta assai che di ventura mia. (Purg. XIII, 109-111)
Rotti fuor quivi e volti nelli amari passi di fuga; e veggendo la caccia, letizia presi a tutte altre dispàri, tanto ch’io volsi in su l’ardita faccia, gridando a Dio: "Omai più non ti temo!" (Purg. XIII, 118-122)
Fu il sangue mio d’invidia sì riarso, che se veduto avesse uom farsi lieto, visto m’avresti di livore sparso. Di mia semente cotal paglia mieto: o gente umana, perché poni ’l core là ’v’è mestier di consorte divieto? (Purg. XIV, 82-87)
"Chi più infelice di costoro, che la vista della felicità altrui rattrista d’una pena che li rende più colpevoli? Se amassero quel bene che vedono negli altri e non possono avere, in certo modo l’amore glielo farebbe possedere", così esortava già nel primo Millennio Gregorio Magno, con parole difficili da vivere nella vita quotidiana, in un mondo che esalta la ricchezza e lo splendore del potere. Come non comprendere il patire della donna brutta, alla vista della raccolta interiorità della bellezza? Un moto d’invidia nasce istintivo ed aspro. Se la ragione non lo disciplina e domina, si inasprisce la pena lancinante. Si irrigidiscono i lineamenti del viso, si intristisce e incattivisce lo sguardo, si illividisce il corpo di luttuosa magrezza come tralcio sterile. Si nasconde l’Invidia con un velo nero e forse trama nell’ombra. Vorrebbe anche oscurare l’altra donna, quella a destra, serena e consapevole della propria bellezza, immersa in una luce chiara e distesa su un candido drappo. Nero e bianco. Il tema è prosciugato d’ogni scoria drammatica o patetica.
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