Si sa … Il rapporto genitori-figli è difficile da gestire. Riflettere su alcune cose però, potrebbe aiutarti.
Con l’amica del cuore le ragazze si spartiscono segreti, si scambiano micro-regali, si confidano cotte e delusioni, in un chiacchierare che riflette la tendenza tutta femminile ad analizzare le situazioni. Se il rapporto è fra coetanee l’una rappresenta lo specchio dell’altra che riflette sia le somiglianze e rafforza in ciascuna la propria identità, sia le differenze che spingono all’emulazione. Protette da questo sodalizio diventa più facile e rassicurante per le ragazze avventurarsi nella terra di nessuno che separa l’infanzia dalla pubertà.
Tra genitori e figli maschi le cose sono un tantino diverse …
Anche i maschi cercano il rapporto tra pari ma, alla complicità a due preferiscono la compagnia.
Più che parlare gli adolescenti maschi “fanno cose”: si cimentano nello sport, frequentano cinema, partite o semplicemente vanno in giro.
Per loro è importante l’azione, l’esplorazione: questo significa sperimentarsi in gruppo nella libertà.
Nella prima parte dell’adolescenza è nel gruppo dei pari, attraverso scelte di comportamenti, atteggiamenti o un certo tipo di abbigliamento, che i giovani imparano a essere maschi e femmine, a riflettere sul mondo, il loro e quello degli adulti, a confrontarsi su emozioni, obiettivi, relazioni.
Genitori e figli: la valigia della sicurezza.
Lo sviluppo della personalità consiste nel passare dalla massima dipendenza dalle figure di attaccamento, generalmente i genitori, a un’indipendenza che via via diventa più solida attraverso l’acquisizione di autonomia, autostima, competenza sociale.
Questo corredo è quello che ciascun genitore dovrebbe iniziare a preparare per il proprio figlio fin dalla prima infanzia.
Per farlo occorre mettere in atto comportamenti, atteggiamenti, strategie adeguate.
Una strada in questa direzione è quella di promuovere l’intelligenza emotiva, cioè la competenza nell’individuare, riconoscere, gestire, modulare le proprie emozioni.
E, contrariamente a quel che si crede, questa competenza non è innata, ma va appresa attraverso interazioni che svolgono un’azione modulante a livello cerebrale.
Ripetute esperienze, indicazioni precise, continui dialoghi affettuosi scolpiscono connessioni, neuroni, modellano circuiti neuronali.
Autonomia, autostima, competenze sociali si costruiscono attraverso una continua comunicazione genitori-ragazzi caratterizzata da atteggiamenti accoglienti, ma anche coraggiosi e “autorevoli”, capaci di mettere in campo regole e sanzioni.
Genitori e figli: il senso del limite.
Fino a qualche tempo fa, il grande spauracchio che incombeva sulla crescita dei figli era rappresentato dalla carenza di affetto. Ma, oggi, per la paura di offrire ai nostri ragazzi un’infanzia infelice, priva di “amore” si sta diffondendo la tendenza opposta che è quella di sbagliare per un eccesso di affettività.
Questo plus produce a sua volta una nuova carenza: la mancanza di autorevolezza. Dalla famiglia tradizionale, in cui la madre si occupava delle cure quotidiane e il padre intransigente guardava i figli a distanza, si è passati a una famiglia che ha rinunciato a essere normativa, a dettare le proprie regole per privilegiare la soddisfazione dei bisogni dei figli.
La tendenza è quella di accontentare, proteggere sempre e comunque, dare cose, cibo: negare ai ragazzi qualcosa che desiderano sembra quasi equivalere a un rifiuto d’amore, come se l’affetto potesse essere misurato attraverso le cose date, i soldi spesi.
Il “No” dei genitori ai figli, a volte, è necessario!
Si dimentica che anche la capacità di dire no fa parte dell’amore perché trasmette il senso del limite e allena al confronto con le inevitabili frustrazioni della vita. Senza l’esperienza del limite il rischio è quello di produrre un senso di noia, di saturazione che soffoca il desiderio e impoverisce le risorse emotive.
Tuttavia non è solo la paura di far sentire i figli poco amati che rende così difficile per molti genitori stabilire dei limiti, delle regole, dei divieti.
Per imporre delle norme e farle rispettare occorre avere ben chiaro che cosa è giusto e cosa è sbagliato per sé stessi, ma anche per i propri figli.
Occorre conoscere i propri ragazzi, sintonizzarsi con loro, offrire le adeguate indicazioni, essere attenti senza commettere l’errore di restare sempre a disposizione, abituarli a gestire anche la noia e la solitudine anziché “riempire” ogni loro spazio con attività di ogni tipo.
Si tratta di acquisire il più precocemente possibile un modo di stare con loro empatico, caratterizzato da ascolto attivo, senza pregiudizi, tempo significativo, capacità di amare le “storture”.
Genitori e figli: valorizzare la caratterialità individuale.
La nostra cultura prevede questo: quando un ragazzo ha un problema comportamentale bisogna correggerlo. Ignoriamo che determinate caratterialità sono il prodotto di un genoma e che l’influenza ambientale incide in percentuali molto basse.
Alcuni ragazzini sono modello-kamikaze, perennemente sfidanti; altri sono estremamente miti in casa, ma aggregati ai leader “terribili” a scuola; altri ancora sono vittime sacrificali no-stop alla ricerca di protagonismo, pur in negativo. Infine ci sono i solitari, meno bisognosi di contatto sociale, di gruppo, più inclini alle amicizie one-to-one.
E i genitori come sono e quali effetti possono generare? C’è chi è normativo no-stop e il rischio per i figli è quello, a un certo punto, di violare ogni norma; ci sono i super-coccole, sempre pronti ad abbracciare e accarezzare, attenzione: il rinforzo è corretto perché stimola a progredire, la coccola può spingere verso la regressione.
Infine ci sono altre due categorie di mamme e papà. Alla prima appartiene il genitore battistrada, quello che ha aspettative altissime, alla seconda l’amicone che non filtra e tende a condividere con i figli ogni tipo di problematica e il rischio è quello di caricare i ragazzi di un eccesso di responsabilità.
Genitori e figli: come sviluppare competenze sociali.
Per abituare i ragazzi a costruire e vivere relazioni sociali è necessario non lasciarli soli. In solitudine annaspano, tenteranno di farcela ugualmente, a ogni costo, ma può succedere che si perdano, che si chiudano nella paura.
Se nessuno li accompagna davvero il rischio è che provino a guidare da soli: con o senza patente, con o senza casco.
E si sa che senza protezioni quando si cade ci si fa male!
E se è vero che l’accelerazione, l’organizzazione della società e del lavoro non favoriscono la genitorialità e il rapporto con i ragazzi è altrettanto vero che, se lo vogliamo, possiamo trovare il tempo e le energie per ascoltarli, argomentare con loro, attivare il senso di responsabilità attraverso il provare esperienze, attraverso incontri significativi.
Naturalmente per incontro si intende la condivisione di uno spazio emotivo, di una storia in cui ci si rispecchia, di una direzione nuova per risolvere un problema. Perché l’educazione alla positività significa anche cambiare rotta, non ripetere all’infinito quello che la logica ci indica come l’unica via d’uscita percorribile.
Positività è fare un salto qualitativo più che quantitativo, non provare con più forza ma prendere strade completamente diverse, creative, che ci portano a risorse inaspettate. Così parti di noi con cui avevamo poca familiarità riescono a far sentire la loro voce e ci portano energie nuove che hanno il sapore inebriante della scoperta.
Articolo di Filippo Zizzadoro
Vocabolario emotivo di genitori e figli. by Marco Masella