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“Voci di Talenti in Fuga” – Intervista a L’Espresso.it

Creato il 27 gennaio 2015 da Fugadeitalenti

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Pubblichiamo l’intervista fatta la scorsa settimana con Corrado Giustiniani, autore del blog “Nuovi Italiani”, sul sito de “L’Espresso”.

Un momento per fare il punto -aggiornato- sul tema della fuga dei talenti. L’intervista la potete trovare anche cliccando a questo link.

Voci di talenti in fuga. Per ognuno di loro bruciati 100.000 euro

Sotto i riflettori, stavolta, ci sono italiani nati da genitori italiani. Nuovi, semplicemente perché sono giovani. In totale sintonia con questo blog, visto che sono costretti a emigrare. Puoi ascoltare le loro storie ogni sabato, dalle 13.30 alle 14.00, sintonizzandoti su Radio24, e ne esci con un turbinio di sentimenti: dalla sorpresa, all’ammirazione, alla rabbia. Si chiama “Giovani talenti” il programma che compie in questi giorni cinque anni esatti di vita. “Sì, la rabbia c’è – ammette Sergio Nava, giornalista della radio del “Sole” che lo ha ideato e lo conduce fin dal primo numero –. Basti pensare che formare un talento che poi fugge all’estero, dall’asilo fino alla laurea, costa allo Stato una somma molto vicina ai 100 mila euro. E’ un po’ come se la cantera del Barcellona allevasse un giocatore come Messi e poi, sul più bello, lo regalasse al Real Madrid”.

Quanti sono gli italiani che ogni anno cercano fortuna negli altri paesi?
“I dati variano a seconda delle fonti statistiche. Secondo l’Aire, l’anagrafe dei nostri connazionali all’estero, nel 2013 hanno lasciato l’Italia 94 mila persone, secondo l’Istat 12 mila di meno. Metà degli espatriati è compresa nella fascia d’età tra i venti e i quarant’anni. Ma il dato più straordinario è il boom del Regno Unito: nel 2013 le presenze italiane a Londra e dintorni sono aumentate del 71 per cento rispetto al 2012, e quelle della fascia d’età fra i venti e i quarant’anni addirittura dell’81 per cento”.

Come si spiega questa polarizzazione?
“Con la velocità, la dinamica economica che il Regno Unito rappresenta. Certo però, che questo paese comincia a essere alquanto intasato dai nostri. Ma mal che vada, anche se non trovi lavoro, o non lo trovi subito, ti metterai a posto con l’inglese, senza bisogno di attraversare l’oceano”.

In oltre 260 puntate di “Giovani talenti” ne avete raccolte di storie. Ce n’è qualcuna che è rimasta più impressa nella memoria?
“Partirei dalle ultime. Fra le più straordinarie, quella di Gianluca Fratellini, un trentaquattrenne che ha sfondato nel campo dei film d’animazione. All’Università frequentava Informatica, ma non è nemmeno arrivato alla laurea. Un bel giorno mandò un suo curriculum in Lussemburgo, con allegato il suo primo cortometraggio. Lo presero immediatamente. E lì iniziò la sua carriera di “character animator” che lo ha portato in giro per il mondo, da New York all’Australia. I suoi film 3D sono molto sofisticati: ha fatto “Rio 2”, “Happy Feet”, “Hotel Transilvania”, ora è a New York a finire “Era Glaciale 5”. Da Fratellini passerei poi alla Fluentify”.

E cos’è mai?
“Una start-up fondata a Londra da quattro ragazzi torinesi attorno ai 27 anni, Giacomo Moiso, Andrea Passadori, Claudio Bosco e Matteo Avalle. L’idea, che sta avendo grande successo, è stata quella di fornire lezioni in inglese on line con tutor di madre lingua. Uno di loro ha aperto una sede in Italia, perché qui da noi ci sono softwaristi di grande qualità a costi inferiori. Poi citerei un uomo che è un po’ più in là negli anni, Simone Rancan, ne ha 39, e dirige in Cina uno stabilimento tessile con 1.200 addetti. Ma la storia più straordinaria è forse quella di Davide Bolognesi”.

Per quale ragione?
“Perché questo giovane veneto in Italia non riusciva a trovare nemmeno un posto da Mc Donalds. Figurarsi se poteva ottenerne uno al livello della sua laurea, doppiata da master e dottorato. Decide allora di trasferirsi negli Usa. Lavora come cameriere, pizzaiolo, facchino. Finalmente riesce a entrare a Google. Ma non si accontenta. Un giorno vede un bando per l’ufficio governativo della California, a Sacramento. Lo vince. Poi cambia ancora lavoro: ora, a 36 anni, è direttore delle relazioni esterne del Regional Centre di San Francisco. Era arrivato negli Usa nel 2012, disoccupato ma già con moglie e figli”.

E storie di donne, non ne abbiamo?
“Ma certamente. Quella di Margherita Colombo, 33 anni, musicista. In Italia era una precaria e così è emigrata in Germania: a Dresda oggi è una pianista di successo, nonché direttore d’orchestra. Certamente non tutti i giovani italiani che emigrano sono dei talenti, come lo è Margherita. Ma il fatto di decidere di mettersi in gioco, di avere il coraggio di spiccare un salto nel buio, li pone su un livello più alto rispetto a chi questo spirito di iniziativa non ha”.

Cosa raccontano dall’estero? Cosa c’è fuori che in Italia manca?
“Il lamento più ricorrente è l’aver spedito tanti curriculum, senza che nessuna nostra azienda desse loro una risposta. Fuori è diverso: mandi il curriculum, e ti rispondono, sì o no. Poi le maggiori opportunità che ti si offrono e, se ne imbrocchi una, la maggior velocità di carriera. Non sono tutte rose e fiori, ovviamente. Ambientarsi è difficile”.

E a quali condizioni possiamo riportarli indietro?
“Ci avevamo provato con le legge 238 del 2010, detta di controesodo e nata da un’iniziativa bipartisan Pdl-Pd. Per tre anni l’80 per cento del reddito di chi rimpatriava – se donna – e il 70 per cento – se uomo- sarebbe stato esentasse, a condizione che gli interessati fossero al di sotto dei 40-42 anni. In questo modo sono tornati in Italia, se ricordo bene, circa 6 mila connazionali. L’intervento non è stato rifinanziato, ma avrebbe dovuto essere sostituito da una norma diversa di attrazione dei talenti, in grado di ampliarne la portata. Norma che però, purtroppo, l’ultimo Consiglio dei ministri non ha approvato. Ma non è solo la politica che deve agire. La svolta deve essere più ampia: bisogna decidere se continua a prevalere l’Italia delle rendite e delle lobby, o se si decide di aprirsi al mondo e di sfidarlo, realizzando un grande “hub globale” che in tanti settori potrebbe essere vincente: dal turismo alla cultura, nella quale è un suicidio non investire”.

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