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Voci (nuove?) dall’Arabia Saudita, tra letteratura e cinema

Creato il 13 dicembre 2012 da Chiarac @claire_com_

Oggi esulo leggermente dal tracciato di questo blog per presentarvi due delle nuove voci dall’Arabia Saudita.

Già, l’Arabia Saudita (sospira la blogger in tono mollemente sarcastico). Quel paese alleato di ferro degli Stati Uniti, che ospita i luoghi santi dell’Islam ed è campione e incrollabile baluardo dell’Islam sunnita in una delle sue versioni più radicali, il wahhabismo. L’unico paese al mondo che porta il nome della dinastia regnante, quella dei Sa’ud, che risale indietro nel tempo fino al XVIII secolo.

Ma anche un paese in cui si usano moltissimo i social network come Twitter e Facebook e dove si twitta prevalentemente in arabo. E, infine, un paese in cui la battaglia delle donne per poter guidare (!) ha come icona ispiratrice una giovane attivista di nome Manal al-Sharif, che lo scorso anno lanciò su Facebook la campagna It’s my right to drive (e che poi è stata arrestata dalle autorità saudite).

Una geografia sociale, religiosa e politica unitaria, ma che allo stesso tempo – se si guarda sotto la superficie – appare frammentata, segmentata, quasi a simboleggiare una contraddizione in termini vivente. Ma anche un paese dove forse è possibile affermare: eppur qualcosa si muove. E questo qualcosa possono essere le giovani generazioni e le donne.

foto halwan
La pensa così anche Mohammad Hassan Alwan, unico rappresentate del suo paese ad essere stato ammesso tra i 16 concorrenti finalisti al premio IPAF 2013, di cui ho parlato qualche giorno fa.

Classe 1979, nato a Riyadh, una laurea in Computer Information Systems e un MBA presso la University of Portland, in Oregon (USA), Halwan, un bel viso sorridente e aperto, ha già all’attivo quattro romanzi pubblicati e una raccolta di racconti brevi. È uno dei 39 autori arabi emergenti sotto i 39 anni selezionati dal progetto BEIRUT39 nel 2009/10, e ha partecipato, nel 2009, al workshop di scrittura creativa “Nadwa” organizzato dagli stessi amministratori dell’IPAF, consesso in cui ha cominciato a scrivere proprio il romanzo finalista, القندس (letteralmente: Il castoro).

copertina libro
Pubblicato da Dar al-Saqi (Libano) nel 2011, e oggi arrivato alla terza ristampa, Il castoro è narrato in prima persona dal protagonista, Ghaleb, rampollo di una ricca famiglia saudita conservatrice, figlio del primo matrimonio fallito del padre, verso cui sente di aver mancato tutte le aspettative. Non amato dalla madre e dai fratellastri, abbandonati gli studi, Ghaleb si ritrova a ricoprire il ruolo di amante clandestino della donna di cui è innamorato che, a causa della sua inettitudine, è andata invece in sposa ad un ricco diplomatico. Il romanzo prende avvio in Oregon, luogo di un esilio volontario, dove la vista di un castoro in un parco della città è l’espediente narrativo che consente all’autore di riandare indietro con la memoria ai ricordi della sua famiglia e sulla vita passata a Riyadh.

Lo stile narrativo di Alwan, fresco e diretto, è stato molto apprezzato da diversi critici arabi sin dai tempi di BEIRUT39, ma si è anche attirato gli strali dell’onnipresente censura. Per la franchezza con cui aveva trattato il tema dell’amore nel suo romanzo سقف الكفاية, quest’ultimo era stato censurato in Arabia Saudita, e per questo pubblicato in Libano (corsi e ricorsi storici…), come anche i romanzi pubblicati in seguito: صوفيا  nel 2004 e طوق الطهارة nel 2007.

La speranza del giovane autore è che quello che scrive possa contribuire a diffondere un messaggio di pace e reciproca comprensione tra le nazioni. Alwan è anche convinto che saranno le nuove generazioni di sauditi ad affrontare i problemi del passato, ma con gli strumenti del domani.

La traduzione in inglese di un estratto da Il castoro la trovate qui, su Banipal. Infine una news editoriale: il romanzo è già stato acquistato per essere tradotto, dall’editore francese Le Seuil. Mabrouk al suo autore!

Già, l’Arabia Saudita.

Paese di nascita anche della regista Haifaa al-Mansour, che ha girato lì il suo film La bicicletta verde (Wadjda, 2012), in uscita in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane. Il lungometraggio racconta la storia di una bambina che sogna di possedere una bicicletta, per pedalare nelle strade della sua città come i suoi coetanei maschi. Un sogno, quello di Wadjda, che si scontra con le convenzioni di una società chiusa e segregata e con la condanna della sua stessa madre.

bicicletta verde

È stata la stessa regista a riconoscere la chiusura della società saudita, ma al-Mansour ha anche detto che questa società si sta aprendo al mondo e che sono molte le voci liberali che escono dal coro. La regista, con il suo film, ha voluto lanciare un messaggio di apertura e ottimismo alle donne e agli uomini del suo paese: “Ascoltate le voci dei vostri figli, anche se e quando vi chiedono qualcosa che la società non considera completamente accettabile”.

Concludo parafrasando Toni Maraini e prendendo in prestito una frase tratta da uno dei bellissimi racconti che compongono Ultimo tè a Marrakesh:

“L’Arabia Saudita dovrà riaprirsi. E, se non lo farà, che rimanga aperta almeno la mente”.

Mi piacerebbe visitarla un giorno, l’Arabia Saudita.

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Altra letteratura saudita (suggerimenti di lettura):

  • Rose d’Arabia, AA.VV – edizioni E/O 2001
  • Il canto perduto, Laila al-Giuhni – Ilisso 2007
  • Gli altri, Siba al-Harez – Neri Pozza 2007
  • La cintura, Ahmed Abodehman – Epoche 2009
  • Ragazze di Riyadh, Rajaa al-Sanea – Mondadori 2011
  • Le trappole del profumo, Yousef Al-Mohaimeed – Aisara 2011

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