Mio papà è il terzo da sinistra, sul ponte che non esiste più.
La melanconia non è di per se stessa un sentimento negativo. Anzi, la puoi considerare anche come una pausa dalla frenesia continua, un momento di pace in cui la mente cessa di torturarsi in mille pensieri, ma rimane lì, crogiolandosi come un grasso gatto giallo nel suo cesto morbido. Un po' come quando non sei ancora ben sveglio, ma invece di stropicciarti gli occhi, ti raggomitoli di più sotto le coperte cercando di mettere in sintonia i ritmi circadiani del tuo corpaccio di vecchio rimbambito col tepore della stanza dove si è creato uno stato senza tempo e senza pensiero. E' lì, nelle pieghe della mente, che sta lo scatolone dei ricordi, beato chi ce l'ha bello grande e pieno, così quando si apre, da solo, magicamente, i foglietti vengono fuori da soli e un po' a caso, privi di quella consequenzialità logica che impone la mente attiva. Ed ognuno di essi continua a riscaldarti piano piano come una stoffa morbida che ti carezza la guancia.Il mio papà aveva un orto, anche troppo grande per le sue forze. Forse quando era stato giovane, avrebbe disprezzato questa attività, ma col passare degli anni il veder crescere gli ortaggi gli dava una soddisfazione sempre maggiore. Se ne tornava a casa, facendo quei cinque chilometri in bicicletta, con le borsate di pomodori o di fagiolini o di zucchini, con gli occhi che brillavano, quasi volesse dimostrare a se stesso quanto era bravo. In verità non se ne aveva affatto male per il fatto che suo figlio se ne disinteressasse completamente, pur usufruendone appieno e parassitando comunque il meglio della produzione, forse perché quella generazione aveva una sua visione del mondo molto diversa da quella attuale e in quella scuola di pensiero appariva del tutto logico che il figlio che aveva studiato, suo orgoglio massimo che esorbitava anche il buonsenso a causa del suo amore traboccante verso la sua unica prole, si tenesse al di fuori da cose così materiali.
Aveva sempre avuto un rispetto quasi timoroso per le attività di pensiero, forse non tanto perché le ritenesse di livello meritoriamente superiore, ma in quanto le accomunava alla natura stessa del potere, con una equazione automatica che presupponeva appartenere alla classe dei padroni coloro che esercitavano attività intellettuali, con la capacità quindi di relegare quelli che usavano le mani nella classe dei servi, comunque costretti a subire. Un po' la storia che diceva: il padrone sa mille parole, l'operaio cento, per questo lui è il padrone. Infatti un po' di delusione forse la covava, da quando si era accorto che comunque il suo unico figlio, non sarebbe diventato capo del mondo. Tuttavia, l'amore viscerale che nutriva per me e la mia famiglia è poi sempre stata la sua ragione di vita e individuare qualche nostro, anche se piccolo, desiderio, era l'inizio del piacere nel cercare di soddisfarlo.
Quella volta avevamo portato con noi da una gita in montagna qualche stolone di fragoline raccolte in un bosco, lassù tra le malghe di un alpeggio lontano. Anche se non aveva ben capito perché preferissimo quei piccoli frutti stentati ai bei fragoloni rossi e rigonfi che si stavano imponendo nelle scelte comuni, il giorno dopo corse subito a trapiantarli in mezzo alle altre, anzi ne incrementò la superficie, visto il nostro manifestato interesse. Poi appena arrivò il sole caldo di aprile, eccolo tornare a casa pedalando furiosamente con due borse nere colme di fragole rosse, grosse e succose mescolate alle altre piccine ma profumatissime e dal sapore più intenso. Che gioia gli leggevi negli occhi quando cercava soddisfazione allo sforzo, le prime erano sempre per noi e poi ogni due o tre giorni, ecco un nuovo rifornimento, fino a fine maggio, quando arrivava, un po' dispiaciuto con l'ultimo raccolto.
Che malinconia dolce in questa mattina grigia, mentre cerco di sentire quel profumo di fragolina nell'aria, mentre cerco di tenere gli occhi ancora chiusi per un po'. Con gli occhi chiusi si vede così bene quel rosso vivo tra le foglie verdi, nella borsa nera con dietro il sorriso di papà. Tepore, colore, profumo in una grigia mattina di marzo, con la nebbia bassa, forse sarebbe proprio l'ora adatta per andare a vangare l'orto, a preparare il terreno in lunghi solchi ordinati per piantare le fragole. Con la temperatura ancora fredda ed il fiato che si condensa nell'aria. I tre pioppi in fila che fanno da confine in fondo al campo già mostreranno le prime gemme. La vite di luglienga sembra ancora secca, invece, intorpidita dall'inverno non ancora finito. Come mi dispiace non averti saputo dire tutto quello che volevo dirti, anche se sei stato con me fino a 96 anni. Che paradosso assurdo! Come mi manchi, papà.
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