“Ho sempre pensato che la moda fosse qualcosa di più di una bella donna con un bell’abito. La moda è capacità di attrarre e catalizzare l’attenzione su tematiche attuali, di interesse sociale. Per questo, a volte, ho preferito rischiare di essere fraintesa e di generare controversia, ma sempre nell’ottica di impegnarmi in prima persona per le giuste cause” così si racconta Franca Sozzani. E Milano, nel penultimo giorno della settimana della moda, celebra l’anniversario del visionario mondo di Vogue Italia, aprendo per la prima volta in assoluto le porte dei propri archivi che, digitalizzati per l’occasione, diventeranno il più importante archivio digitale di moda al mondo.
Numerose le celebrities che hanno patrocinato l’apertura della mostra, lo scorso 21 settembre, tra le quali Karl Lagerfeld, Giorgio e Roberta Armani, Miuccia Prada, Diego e Andrea Della Valle, Donatella e Allegra Versace, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, Riccardo Tisci, Giambattista Valli, Frida Giannini, Jeremy Scott, Alessandra Facchinetti. Dive e icone Internazionali come Eva Herzigova, Linda Evangelista, Mariacarla Boscoso, Eva Riccobono, Roberto Bolle, Isabella Ferrari, Valeria Golino, Vittoria Piccini, Giorgio Pasotti, Fabio e Candela Novembre, Cristina Parodi e Giorgio Gori.
Rileggere la storia. L’avventura prende il via nel 1961, quando Thomas Kernan, dirigente della Condé Nast, contatta Roberto Kuster, il proprietario di “Novità”, per investire nella rivista, che alterna pagine di moda e consigli rivolti al pubblico femminile. Nel 1964, il magazine, diretto da Franco Sartori, cambia radicalmente nella grafica e nei contenuti: formato più grande e servizi di moda esclusivi. La prima cover del nuovo corso, nel novembre del 1965, mostra tutta la forza evocativa del volto di Benedetta Barzini, incorniciato da un bob in pieno stile Sixties. È Franco Rubartelli, invece, a firmare, nel 1966, la cover che segna il definitivo approdo al nome “Vogue Italia”.
Sfilano poi le collezioni rilette dall’occhio di Norman Parkinson, i ritratti “interiori” di Richard Avedon. Già allora il dna del mensile porta i segni di un successo planetario, ma qualcosa ancora manca. Il passo successivo fu sovvertire le regole, capovolgere le convenzioni, dimostrare come l’iconografia di moda possa essere veicolo di contenuti o ispirare rielaborazioni grafiche ad alto tasso di ironia. Passano hippie mood e nude look, i simboli della controcultura e l’edonismo spensierato dei primi anni 80.
Arriva il 1988, Franca Sozzani è il nuovo direttore di “Vogue Italia”. Sulla cover di luglio-agosto dello stesso anno, la modella Robyn Mackintosh rappresenta, con la sua disarmante innocenza, un nuovo inizio, che ha come imperativo quello di evocare atmosfere dinamiche di complicità femminile e contrastare l’assenza di espressività delle mannequins del passato con volti che non solo sorridono, ma sembrano anche erompere in fragorose risate. Peter Lindbergh, uno dei primi a captare il potenziale di Linda Evangelista, tanto da suggerirle l’iconico haircut alla garçonne, ritaglia dallo sfondo donne-guerriere, splendide reduci. Bruce Weber racconta decenni di scatti made in Usa, tra scene di vita quotidiana di celebrities e volti anonimi colti in un momento di inaspettata poesia. Michel Comte, scoperto da Karl Lagerfeld, cattura lo spirito dei tempi e l’anima di icone come Sophia Loren, Charlotte Rampling o Geraldine Chaplin. Paolo Roversi racchiude il suo mondo, ridotto ai minimi termini, in anguste stanze. Miles Aldridge crea a tavolino una dimensione volutamente fittizia e densa di particolari. Perché la moda può essere utilizzata soprattutto per mandare un messaggio: una formula, quella di “Vogue Italia”, che trova in questo concetto la sua sintesi perfetta.
di Valeria Ventrella per Oggialcinema.net