Magazine Società
Chi ha un certa consuetudine con queste pagine di diario pubblico sa bene che, pur essendo medico, ho sempre evitato di impancarmi a esperto in materia, e il più delle volte, quando ho trattato un tema di natura clinica (per lo più è accaduto in ordine a questioni di natura bioetica), mi sono sempre limitato ad argomentare sulla base di elementi che non implicassero speciali competenze: il metodo che mi sono imposto è stato quello di applicare un minimo di logica a dati che chiunque potesse aver modo di verificare, anche senza avere una laurea in medicina o una pratica clinica. Anche per questo non sono mai ricorso alla casistica personale, tanto meno in quella forma aneddotica che ho sempre considerato più scorretta, perché più insidiosa, dell’assunzione di autorità: la casistica personale, infatti, supplisce alla inaffidabilità dei piccoli numeri con la suggestione della narrazione didascalica e fa subdolamente, anche quando involontariamente, cattiva didattica. Io ho sempre voluto evitare la didattica, anche quando in piena onestà di coscienza potevo ritenerla buona, e non ho mai pensato che un procedere secondo logica necessitasse d’altro che strumenti logici.Non verrò meno a questa regola neppure oggi, dunque mi intratterrò sul caso di Angelina Jolie evitando ogni considerazione di tipo specialistico, trascurando del tutto gli elementi di pertinenza genetica, oncologica, epidemiologica, ecc. Sulla base delle mie conoscenze e della mia esperienza ritengo che la scelta della signora non sia affatto folle, anzi, mi pare ampiamente motivata, ma vorrei trattare la questione sotto un altro punto di vista, che da quanto ho letto a firma di espertoni, espertucci e nient’affatto esperti mi sembra sia stato del tutto trascurato. Questo punto di vista rende irrilevante il fatto che io sia specializzato in ostetricia e ginecologia e che da più di trent’anni il mio lavoro consista anche nella diagnosi di carcinomi mammari: «ritengo che la scelta della signora non sia affatto folle, anzi, mi pare ampiamente motivata», fate finta l’abbia detto un agronomo o un imbianchino.E dunque, a rischio di apparire rozzo al mio lettore: a chi appartiene il corpo di Angelina Jolie? Voglio dire: quand’anche il rischio dello sviluppo di un carcinoma mammario avesse ragion d’essere solo in una sua fobia, quand’anche l’intervento al quale si è sottoposta non sia soluzione congrua per un rischio reale, o addirittura fosse sostanzialmente inutile, chi avrebbe potuto impedirle di fare del suo corpo quello che voleva? E in forza di quale diritto che annullasse quello di disporne liberamente? Per motivi religiosi o igienici ci si può amputare il prepuzio. Ci si può liberare di pene e testicoli se ci sente femmina imprigionata in un corpo maschile. C’è qualche parte del mio corpo che mi è vietato sottoporre a piercing o tatuaggio? Potrei continuare all’infinito, perché le pratiche di intervento cruento sul corpo umano, anche di là da indicazioni poste da specifiche condizioni cliniche, sono infinite, e in buona parte praticate fin dalla notte dei tempi. Escluse quelle che vengono effettuate su soggetti che le subiscono in mancanza di piena libertà e responsabilità, quali sarebbero quelle da vietare, o da condannare moralmente, o da biasimare come pericoloso cattivo esempio, e perché?Io ritengo che il polverone sollevato dalla confessione di Angelina Jolie sia quasi del tutto dovuto all’elevata valenza simbolica che ha il seno femminile. Avesse deciso di farsi asportare la milza per ragioni analoghe a quelle che l’hanno portata alla mastectomia bilaterale, la confessione non avrebbe suscitato tanto scalpore. In più, alla mastectomia bilaterale è seguito l’impianto di protesi mammarie, che non alterano la fisionomia del soggetto sottoposto a quel tipo di intervento demolitore, e che per giunta è scelta sempre più spesso adottata da chi abbia subito una mastectomia per un carcinoma mammario già sviluppato. E dunque? Cos’è successo di così sconvolgente con la decisione di Angelina Jolie? Non è neanche la prima ad adottare questa decisione a fronte di un alto rischio genetico per lo sviluppo di un carcinoma mammario. La cosa sconvolgente – per chi ne è stato sconvolto – è stata la ratio che ha guidato verso la decisione: estromettere da un progetto di vita, per quanto fosse possibile, un rischio; farlo con determinazione, estromettendo anche tutto ciò che è il fatalistico mettersi nelle mani della provvidenza; elevare la femminilità al di sopra dello stereotipo che allega il genere al proiettato fantasmatico di una cultura maschilista. Un po’ come scegliere il taglio cesareo anche quando il parto potrebbe essere spontaneo: per il semplice volerlo, deciderlo, farlo. Beh, sì, non c’è dubbio, c’è chi può rimanerne sconvolto.
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