Direi che sono definitivamente guarito rientrando nella mia malattia. Che oramai mi caratterizza, costringersi ad essere un altro è una gran brutta esperienza che spero di non ripetere più.Sono d'accordo. Ma non sono d'accordo. Sia chiaro, parlo per me. Le parole del Forma mi coinvolgono, ma cerco di adattarle a me. Cioè, provo a pensarci: se io rientrassi davvero in me stesso, nella mia maladie ontologique, avrei una gran pena di me, mi sentirei perduto, forse smetterei definitivamente di scrivere. E poi, cosa resterebbe? La vita là fuori? Cosa c'è là fuori che mi realizza? Se la mia vita minima restasse chiusa nel non detto, temo comincerei a soffrirne fisicamente, spunterebbero fobie, depressioni, risentimenti, acredini, carattere di merda - e un ghigno al posto del sorriso. Oh, certo! cerco sempre di non sorridere come un ebetino, e accetto i colpi di fioretto che smontano ogni mia parvenza di presunzione. Cado come un caco maturo cade, plof, ma dolce rimango (ma non è che così al suolo spiaccicato pochi avranno l'ardire di gustarmi? Pace).Ma volevo dire qualcos'altro: io, qui, sforzandomi di essere me stesso, riesco a essere un altro, perché l'io che si manifesta qui, quel tal Lucas, cerca tutte le volte di salire nella stratosfera del proprio sé per buttarsi poi di sotto, senza sponsor, senza battere alcun record, senza entrare nella storia se non nella storia di se stesso e non di un altro - anche se è proprio grazie all'altro che si riesce a capire, forse a divenire, se stessi.Capito qualcosa? Piuttosto: sapete piegare un paracadute?
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Scrive Formamentis: