Apro il cancello per entrare nel parco e mentre ripongo il portachiavi in tasca accade il dramma: il mazzo mi sfugge dalle mani, piomba ai miei piedi, scivola lentamente sul cemento viscido, capitombola dal marciapiede e prosegue adagio verso l’unico tombino presente.
Le chiavi – sotto il mio sguardo impietrito – si infilano tra le strette grate e precipitano dileguandosi nelle profondità sotterranee.
Con gli occhi sgranati dal terrore e la bocca a forma di stupore, balbetto: «NOOOOO».
In pochi secondi, il piccolo pozzo ha inghiottito i cardini della mia vita privata (cancello, portone del palazzo, casa, cassetta postale).
Pazzesco. Incredibile.
La sequenza si sussegue come in un film al rallentatore. Dietro di me, un altro spettatore assiste alla tragica scena. Stupito per la somma di coincidenze, privo di empatia bofonchia: «che sfortuna» per poi dileguarsi come un’ombra sinistra.
Mi avvicino al «mostro», le chiavi sono sul fondo. Meno di mezzo metro mi separa dal tesoretto personale. Con la forza bruta della disperazione, tento di aprire la botola ma le sbarre arrugginite sono tutt’uno col cemento. Sforzo inutile, operazione impossibile.
«Calma Mario, devo riflettere» ripeto a me stesso.
«Cosa inventerebbe MacGyver?» penso all’eroe della mia adolescenza, l’agente segreto Angus MacGyver (cito Wikipedia: le sue armi sono l’ingegno e l’intelligenza, l’unico suo equipaggiamento è un coltellino svizzero che utilizza per risolvere le situazioni più assurde nei suoi cosiddetti “macgyverismi”, opere dell’ingegno con oggetti e cose che trova attorno a lui).
In pochi minuti, elaboro un piano: spezzo il sottile ramo di una pianta morta nel giardino difronte, apro il cofano della mia auto e dalla piccola borsa contenente il pranzo consumato in ufficio agguanto la forchetta, mi impossesso dell’elastico con il quale avvolgo i doppioni dei Cucciolotti (le figurine di mio figlio da utilizzare per lo scambio) e lego la forchetta al ramo.
Ho appena costruito un astuto e rigido arpione con il quale penetrare le sbarre del tombino per afferrare il prezioso mazzo di chiavi.
Mi inchino sul «mostro» ed inizio l’operazione: in modo chirurgico mi avvicino e tento l’impresa impossibile.
Riuscire ad agganciare il malloppo è un lavoro arduo ma non scarseggio di tenacia. Durante la fatica, mi balena alla mente il famoso verso di Vittorio Alfieri: «Volli, E Volli Sempre, E Fortissimamente Volli». Continuo, raggiungo le chiavi, le sposto, finalmente le afferro, le perdo, riprovo, le aggancio e delicatamente le porto verso la libertà ma a metà altezza precipitano di nuovo. Non mi scoraggio, insisto assesto il colpo vincente.
Dopo venticinque interminabili minuti, il recupero del relitto è completo.
Solo contro il mondo, circondato dalla diffidenza generale ho compiuto un miracolo: nemmeno io ci credo ma le chiavi sono tra le mie mani. Le stringo forte per provare a me stesso la concretezza del risultato. Non è un sogno e la sporcizia tra le dita lo dimostra.
Grazie MacGyver, grazie Vittorio Alfieri.
MMo