Lo Space Launch System in volo, rendering. Crediti: NASA / MSFC.
Space Launch System (SLS), il programma di ricerca che promette di portare l’uomo nello spazio profondo, è realtà. La Nasa ha dato l’ok definitivo allo sviluppo del progetto per la realizzazione del razzo più potente mai costruito.
Riportare l’uomo sulla Luna, raggiungere gli asteroidi a spasso per il nostro sistema stellare (2025) e sognare l’ammartaggio sul Pianeta rosso (2030) non è uno gioco da ragazzi. Il programma ha già fatto i conti con l’inevitabile posticipo del lancio a novembre 2018 – fino a ieri il varo del vettore Nasa era previsto per il dicembre 2017 – ma acquista consistenza: il nuovo sistema di propulsione basato su tecnologia a combustibile liquido sarà il successore dello Space Shuttle.
SLS verrà lanciato in una configurazione da quasi 80 tonnellate e il primo ‘ospite’ sarà la capsula Orion Deep Space. Sarà un test di volo senza equipaggio, oltre l’orbita terrestre bassa. Una volta a regime, la Nasa dovrebbe riuscire a gestire un carico di oltre 140 tonnellate.
Costo dell’operazione previsto: 25 miliardi di euro. Visti i costanti tagli al budget previsto per il programma spaziale, l’agenzia spaziale statunitense ha dovuto ripensare le priorità per gestire il denaro disponibile. Concreta, comunque, l’ipotesi di un volo su Marte entro il 2030. La gara al fotofinish con Mars One è aperta insomma.
Intanto al Kennedy Space Center, in Florida, la versione pathfinding della capsula Orion subisce gli ultimi ritocchi in vista del test di volo in programma per Natale. Ingegneri e tecnici hanno completato l’installazione della pannellatura che costituisce il guscio posteriore di Orion per proteggere al meglio il veicolo spaziale – e i futuri astronauti – dalle temperature scottanti del rientro e verificare la vulnerabilità della capsula allo scontro con detriti orbitanti e micrometeoroidi.
La settimana scorsa era toccato a SLS tornare in officina: decisamente troppo rumoroso in rampa di lancio, ha richiesto una ricalibrazione dei volumi. Cosa che ha spinto i tecnici Nasa a realizzare un modello in scala del vettore. Appena il 5 percento delle dimensioni reali, ma con veri motori a propellente solido: è servito a verificare la propagazione del rumore durante l’accensione del razzo in fase di decollo.
C’è molto lavoro da fare.
Nell’attesa, la vecchia Soyuz è rimasta l’unico ascensore umano tra la Terra e la Stazione Spaziale Internazionale, un veicolo da tre passeggeri alla volta, semplice e funzionante.
Doccia fredda per l’Agenzia Spaziale Europea che a poche ore dal completamento della procedura di immissione in orbita dei satelliti 5 e 6 della costellazione Galileo, ha riscontrato uno scarto tra la quota dell’orbita raggiunta e quella prevista. Principale indiziata una qualche anomalia verificatasi nella fasi di accensione del terzo stadio Fregat della Soyuz. Ma si va avanti. Anche perché a novembre tocca alla nostra Samantha Cristoforetti, che con la sua partecipazione alla missione ISS 42/43 “Futura” sarà il settimo astronauta tricolore e la prima italiana nello spazio.
Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga