Magazine Diario personale

Vorrei fare una telefonata.

Da Gattolona1964

 

Ci sono caduta anche quest’anno, non mi vergogno a confessarlo, forse condividendolo con voi, passerà rapidamente. Non mi sono impedita di piangere e di ricordare, anche se mi ero ripromessa di non farlo e di non pensarci, non ci sono riuscita. D’accordo, ammetto che è successo il giorno prima e non il due novembre,  giornata canonica imposta dal calendario per ricordarli, ma è accaduto ugualmente. Sono le diciannove e ancora non mi è passato questo stato di malinconia, di tristezza, di voglia di averli ancora qua tutti intorno a me che mi abbracciano e mi sorridono. Invece no, non ci sono più, non ritorneranno, ma io li cerco ancora stupidamente e con ostinazione, vivo di ricordi sempre forti e struggenti che fanno molto male al mio cuore e alla mia anima. Oggi è venerdì, ma a me pare domenica e vivendo male da sempre le domeniche, cioè per meglio dire non le sopporto, verso le diciassette, con le prime ombre dell ‘imbrunire, la prima lacrima è scesa. Non cercata e nemmeno voluta, ma è stato più forte di me, dopo la prima ne sono seguite altre copiose e prepotenti, che mi rigavano il viso. Anzi, se devo essere sincera lo bagnavano come un fiume che ha rotto gli argini, tirandosi dietro una scia di mascara e fondotinta che mi ha trasformata in un attimo. Una maschera di clown, triste come solo il viso truccato dei clown sa essere. Come nascondermi e fare finta di nulla? E’ stata questione di pochi secondi ed ho iniziato a singhiozzare piano, piangevo in gola e dentro allo stomaco, ma le lacrime parlavano al mio posto. Come facevo a giustificarmi con mio marito? Dopo qualche ora trascorsa in armonia, il dissesto psicologico, con un giorno di anticipo. Perché poi avrei dovuto giustificarmi con lui? Gli uomini quelli duri tutti d’un pezzo, non piangono mai, o fingono solo davanti a noi? Non sta bene piangere è per signorine leggiadre, sono più controllati gli uomini per loro natura, meno emotivi, meno lamentosi, più concreti, forse. Forse non tutti e qualcuno ha il coraggio di piangere anche davanti a noi, penso che sia una bella dimostrazione d’amore vedere due lacrime sincere che ogni tanto, sgorgano dagli occhi del mio uomo, me lo fa amare ancora di più in quell’istante. Ho preso il cellulare dalla borsetta in una frazione di secondo, ho avuto un raptus ed ero pronta a fare il numero della mia casa di quando ero bambina. Volevo comporre il NUMERO di telefono, quello vecchio di quando abitavo con loro, il numero di Rivalta del telefono grigio unificato, il primo telefono che mettemmo in casa, quello che i miei genitori chiudevano con il lucchetto sul numero uno, per non farmi stare attaccata al telefono tutto il santo giorno, “che poi va su la bolletta, Fabiana!” Non me lo dimenticherò mai quel numero! In principio non aveva il prefisso quando la centrale della SIP era analogica,  poi divenne obbligatorio. Era il numero di casa, del mio nido, del mio porto che solo ora considero che era un porto sicuro e forte, la mia casa colonica dove correvo nei campi e raccoglievo le margherite con la mia adorata sorella che per fortuna è ancora accanto a me. La casa fredda, non in ordine e che sapeva di stalla, con la stufa economica in cucina ed il grande letto a barca nel quale non ho mai dormito sola.  Era la mia casa, nella quale ho trascorso ventidue anni della mia vita. Io quel numero oggi lo volevo ricomporre, quello 0522560264 vorrei che esistesse ancora sull’elenco del telefono, abbinato al nome e cognome del mio papà, la via, il numero civico 1. Non c’è più niente invece, non c’è più la vecchia casa con la stalla ed il pollaio, non c’è più il numero civico, non c’è il papà al quale telefonavo sempre per dirgli che ero arrivata ovunque andassi, o per comunicargli che stavo tornando a casa, se poteva prepararmi una minestra calda. Mi rispondeva sempre con garbo e diceva che stava per andare a letto, diceva che lo avrebbe riferito alla Bianca, lei tanto con l’insonnia che aveva, mi aspettava sempre sveglia. E ricomincio, non le voglio sul mio viso queste gocce d’acqua salata, tanto papà non mi risponde più, nemmeno la nonna mi porterà più nel parco dell’avvocato F., la mamma si trova da anni in casa di riposo e a quest’ora è a letto di sicuro. Le telefonerò domani. Avrei voluto telefonare anche a mio cognato e chiamarlo affettuosamente Suor G., facendoci due risate, parlando di che cosa avevamo fatto oggi e che cosa avevamo mangiato per pranzo… Ma nemmeno lui mi avrebbe risposto, ma dove ve ne siete scappati tutti quanti? Perché vi ho conosciuto ed amato se poi ve ne siete andati e mi avete lasciato qua? Vorrei dirvi che vi penso e mi mancate, vorrei dirvi che vi ho amato moltissimo e che forse, non ho fatto in tempo a farvelo capire come volevo, vorrei dirvi che anche quest’anno non ho mantenuto la promessa e ho pianto nel ricordarvi. Mi avevate fatto promettere di non piangere mai nel pensarvi, non sempre ce la faccio, oggi no, domani sarà un altro giorno e vedremo. Spero che ovunque voi siate possiate perdonarmi e qualche volta, se vi telefonerò, rispondetemi e non tenete il telefono occupato, altrimenti come faccio a parlare con voi?



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