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Vous autres, les intellectuels

Creato il 01 aprile 2011 da Spaceoddity
Non per merito e non per autostima, almeno in quanto persona pubblica, sono un intellettuale.
Questa è una stranissima definizione: non si sa se spiaccia più a chi lo dice o a chi se lo sente dire, entrambi persuasi che si tratta di un'offesa. E, sebbene, magari, sia il tono - ora ironico, ora rabbioso - a portare in questa direzione, c'è da chiedersi perché quel tono si abbina a quel termine.
Ecco, io sono un intellettuale, però mi infastidisce... e, anzi, proprio mi irrita sentirmelo dire, certo che non si tratta mai di una definizione neutra. E, se la definizione non è mai neutra, come non lo chi descrive (almeno che non si passeggi tra le favole dei cronisti d'assalto, spesso i più tendenziosi), non è perché l'intellettuale, credo, abbia un peso in società.
Il punto è che, semmai, l'intellettuale deve andare, per principio, contro tutte le certezze. Ciò che, oltre a destabilizzare chi non vuole farsi della vita un problema da risolvere, dunque un modo per essere attivo nel mondo, finisce col provocarmi anche l'orticaria quando l'epiteto coincide con una descrizione da cui non si sfugge, cioè con un tipo umano, piuttosto che con un essere umano.
Conosco ogni genere di persone che si definiscono o sono definite intellettuali. Nei casi migliori, immagino che la loro qualità comune migliore sia quella di ricondurre un evento a un modello e di interrogarsi allora sulla bontà e la coerenza del modello, mentre si interpreta l'evento in sé. Operazione complessa, che non pecca di astrazione, ma gode di un sistema di riferimento, il cui singolo caso è esemplificativo, se l'intervento è ben condotto e dà buon esito, oppure indebita banalizzazione e adulterazione, nel caso in cui invece l'analisi sia scorretta.
Alcuni aspetti sfuggono in tutto ciò (spesso anche e soprattutto in chi si lambicca con simili giocherelli):
1) il processo non solo non deve escludere un ritorno al caso concreto, ma questo caso concreto è solo la prima tappa di un processo che, per comodità, definirei produttivo; detto in altri termini: si deve voler fare qualcosa - possibilmente utile e non egoistico - di/con quello che si sta pensando;
2) non necessariamente il frutto elaborato successivo al lavoro intellettuale è correlato alla bontà di quest'ultimo: posso elaborare con esattezza ingegneristica un impianto elettrico in modo da renderlo funzionale ed economico, ma non avere la manualità per riprodurre in pratica ciò che ho analizzato e progettato;
3) il modello di riferimento è, almeno, bipartito: attiene tanto alla natura dell'oggetto analizzato (geometria euclidea, letteratura francese, ecc.), quanto alla sfera umana tout-court di chi opera l'astrazione. Da una parte, dunque, il fenomeno deve essere riproducibile e riprodotto con relativa esattezza, dall'altra invece deve mantenere un carattere di unicità che è il valore specifico di quell'intervento intellettuale (e non di un altro);
4) nello stesso tempo, il modello a cui ricondurre il caso specifico deve essere parte di una cultura ampia e articolata; dal che si deduce che il percorso di ciascuno, ciò che ciascuno davvero ha appreso e tiene in conto, entra anche nella valutazione "oggettiva" del caso specifico.
Detto questo, esistono delle costanti così ricorrenti (cultura classica, soprattutto un tempo, titoli di studio molto alti ecc.) che assumono la facies di tic e sono comodi vezzi per schierarsi con comodo e in breve nella fila degli intellettuali (che qualche vantaggio, sia pure effimero, ce l'ha pure). Possono essere mode o possono essere forti correnti culturali che spingono a certe analisi piuttosto che ad altre.
E, per esempio, quanti "intellettuali" evitano ormai di usare il "piuttosto che", nel timore che la cattiva consuetudine odierna falsifichi il loro pensiero o tradisca qualche stravaganza sintattica? Il fatto è che un uso elettivo di alcuni processi e di alcune sfere del pensiero e del sentimento è proprio dell'intellettuale vero, da ciò nasce l'esigenza della comparazione, per cui io, Roberto Oddo (e nessun altro...) preferisco, che so, Almodovar a Ozpetek (e non impongo la mia preferenza a nessuno).
Il qualunquismo annacquato e nauseante dei giorni nostri, unito a un'abulica assenza di nerbo e di anima, ha fatto sì che piuttosto che significhi indifferenza di fronte a ciò che si sta dicendo, appiattendo ciò che è il dovere di ogni uomo, quello di scegliere e vivere la vita con correttezza e dignità, in una tempesta di eventi occasionali e interscambiabili.
Se poi qualche imbecille vuole proprio giocare ad attestarsi su una posizione o su un'altra per assenza di pensiero, faccia pure. Io scelgo, perché io sono vivo.

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