Vucciria, Ballarò, il Capo, a lu caru avvicinatici, a lu mircatu pènsaci.
Compra cose di qualità e diffida da ciò che viene offerto a buon prezzo. In realtà non è sempre cosìperchè a Palermo, la città dove tutto è in vendita, dove si commercia ovunque e da sempre, i prezzi sono veramente bassi e la qualità, nella maggior parte dei casi, è quella di un tempo, di quelle cose che si cucinavano con sapienza nelle case. E' anche la città di bellissimi mercati storici, dove fantasia e genialità corrono affiancate. Ballarò, il mercato dell’Albergheria, dall'antico nome di origine araba, è caos e anarchia primordiale. Sembra ad un passo dall'implosione invece le sue attività sono lì da sempre tramandate o cedute. Tutti vendono prodotti crudi o già cucinati ed è tutto un grigliare, bollire, friggere e marinare, tra vapori e fumi di ogni genere. Credo che si cucini veramente tutto dal quarume, le trippe di vitello di tutti i tipi (ziniere, ventra, ecc) cotte in brodo con cipolle, carote, sedano, prezzemolo e sale, servite asciutte dentro coppi oppure in brodo in piatti di plastica. Ogni genere di fritto: calamari, la trigghiola (minutaglia di triglie fritte), panelle(frittelle di farina di ceci e prezzemolo), cazzilli (crocchette di patate), raschiature (il residuo delle panelle). E poi i pani arabi, ca meusa, focaccie soffici ricoperte di sesamo e farcite con milza di vitello, ritagli di polmone, esofago e fegato, bollite e ripassate nello strutto, condite con sale e limone o maritate, con scaglie di caciocavallo o ricotta. Agli angoli delle strade, con i cesti coperti da un panno bianco, stanno i frittolari, sfornano bocconcini fritti di grasso di maiale, da mangiare, scottandosi le dita, in piedi, sul posto. Continuando: le stigghiole, spiedini alla brace fatti con budella di agnello o vitello, o dal polparo, polpo bollito da mangiare subito con un po’ di limone. Arancine di riso con ragù o besciamella, le ravazzate, gli spiedini e i calzoni fritti. Gli sfincioni, pizze alte condite con pomodoro, cipolla, acciughe, pecorino e pangrattato. Il mercato della Vucciria è vicino al porto cittadino e nell XII secolo si riempì di mercanti e commercianti genovesi, pisani, veneziani, di artigiani di cui esistono ancora le strade (via Chiavettieri, via dei Maccheronai, via dei Pannieri, dei Coltellieri, dei Mezzani, via dei Frangiai, via dell’Argenteria, via Materassai, via dei Tintori, etc.). Il cuore pulsa nella grande Piazza Caracciolo dove in epoca angioina, fiorì l’antica bocceria, il maggiore mercato destinato al macello e alla vendita della carne, da cui prende il nome. "Vucciria" in dialetto siciliano significa "confusione", è uno degli elementi che maggiormente caratterizza questo mercato palermitano. Case misere e palazzi nobiliari come il Palazzo Mazzarino, Palazzo Gravina Filangeri di Rammacca al Garraffello, fanno da sfondo a banchi e botteghe, in un continuo andirivieni di palermitani, turisti, artisti e accattoni. Dalle finestre dell’antica Trattoria Shanghai, Renato Guttuso immortalò il mercato nel celebre dipinto la "Vucciria di Palermo". Dicono che la pasta con le sarde fu inventata qui, dagli arabi: secondo la leggenda, quando arrivarono in Sicilia, nel nono secolo, avrebbero raccolto il finocchietto selvatico sulle colline e l’avrebbero subito unito alle sarde appena pescate che avevano trovato nel porto di Mazara. In tutte le carnezzerie i quarti di carne sono appesi all’esterno delle botteghe: teoricamente illegale ma tollerata ovunque, ha origine dall'antico rituale di macellazione semitico e arabo, per fare scolare tutto il sangue dall’animale. Il Mercato del Capo è la parte alta del quartiere degli Schiavoni. Esso faceva parte, dei cinque quartieri costituenti il Borgo (rabad), sorto fuori le mura, abitato in prevalenza da musulmani che gestivano interamente i commerci. Si accede dalla trecentesca Porta Carini e si divide tra il mercato alimentare, quello dei tessuti localizzato a Sant’Agostino. Vicolo dei Sanguinazzai prendeva il nome dall’attività di coloro che confezionavano i salsicciotti col sangue degli animali macellati; mentre il cortile dei Caldomai, era ed è caratterizzato dalla presenza di venditori di interiora cotte di animali macellati, quarumara. Il vicolo delle Chianche indicava infine le botteghe dei macellai. Il Capo, ha mantenuto l’aspetto proprio di un suk orientale, uno stretto budello che si allarga e si restringe reso impraticabile da merci e persone. Ci sono i riffaturi, con la lotteria privata, in palio la spesa per una settimana, una cesta di pesce, della carne o dei soldi. La cantilena è assordante e gli odori pure, tra le distese di pesce-salato (baccalà), o ammollato nei tini. Ovunque tonni e pesci spada, sui letti di ghiaccio, interi o a tranci. E poi le taverne dove si beve e si mangia, le fiaschetterie che vendono vino imbottigliato e bevande alcoliche, il marsala e lo zibibbo. Improvvisi sprazzi di vapore del pane appena fatto, ancora caldo, magari farcito di panelle o melanzane. Il mercato nasce all'alba e muore al tramonto.