Lave a cuscino (magma congelato) sul Juan De Fuca Ridge, al largo della costa pacifica nord occidentale degli Stati uniti. Un nuovo studio mostra come le eruzioni avvengano seguendo un’inaspettata regolarità. Crediti: Deborah Kelley / University of Washington.
Sono più di 10mila, nascosti sotto il pelo dell’acqua. Alcuni sono alti anche più di 4000 metri. E sputano colonne di lava incandescente con la puntualità di uno svizzero. Sono i vulcani sottomarini, gigantesche gole di fuoco spalancate nell’oceano più profondo – il più grande, il Tamu, nel Pacifico orientale si estende su un’area grande quasi come l’Italia – che fabbricano nuova crosta terrestre in corrispondenza di dorsali oceaniche e zone di subduzione, là dove le zolle tettoniche scorrono una sull’altra reimmergendosi nel mantello per fondersi e, un domani, riemergere ancora in forma di gas e lava. I geologi li considerano affettuosamente i giganti gentili del pianeta.
Un nuovo studio condotto dai ricercatori dell’Earth Institute, presso la Columbia University, e appena pubblicato sulle colonne delle Geophysical Research Letters spiega come il fenomeno delle eruzioni sottomarine segua cicli sorprendentemente regolari: da un’emissione ogni due settimane a fenomeni più rari e che tuttavia si ripetono puntualmente ogni 100mila anni. Ma c’è di più: i vulcani sottomarini preferiscono la prima metà dell’anno solare e le loro eruzioni si concentrano in modo quasi esclusivo fra i mesi di gennaio e luglio.
A regolare l’orologio biologico di questi bestioni sottomarini è il percorso celeste fatto dal pianeta Terra lungo la sua orbita attorno al Sole. Si tratta di un fenomeno che certo contribuisce anche a innescare oscillazioni climatiche naturali. Secondo gli scienziati della Columbia University la quantità di anidride carbonica emessa in mare direttamente, e indirettamente nell’atmosfera terrestre, sarebbe in grado di influenzare in maniera non trascurabile il clima globale.
«Non possiamo continuare a ignorare l’azione svolta dai vulcani sottomarini, il ruolo che ricoprono non è né piccolo né trascurabile come ci hanno abituato a pensare», spiega Maya Tolstoy, geofisica marina del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, fra i firmatari dell’articolo pubblicato su Geophysical Research Letters.
I vulcani sottomarini punteggiano i fondali oceanici in corrispondenza delle dorsali come le cuciture su una palla da baseball. 37mila chilometri di ferite aperte nel mantello terrestre che ogni anno producono una quantità di lava otto volte superiore a quella che possiamo vedere con i nostri occhi, in superficie, eruttata dai vulcani terrestri. Qualcosa come 88 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, secondo i calcoli presentati dai ricercatori.
È convinzione diffusa fra un certo numero di geologi che l’orologio biologico dei vulcani sottomarini sia regolato sui cicli di Milankovitch – un cambiamento costante dell’orbita seguita dalla Terra attorno alla sua stella con modifiche periodiche a inclinazione e direzione dell’asse – responsabili dell’altalenarsi di periodi caldi e freddi. Il principale di questi cicli segue un periodo di 100mila anni dove il nostro pianeta assume posizioni più vicine e più lontane rispetto al Sole. Ma il dibattito è aperto.
Il punto vero è che le eruzioni sottomarine sono quasi impossibili da osservare e monitorare. Cosa che, tuttavia, non ha impedito a Tolstoy e compagni di seguire da vicino dieci siti sottomarini e utilizzare nuovi e sofisticati strumenti sismici per raccogliere una mole di dati fondamentali a produrre nuove mappe, ad alta risoluzione, che mostrino il profilo delle colate laviche di oggi e di ieri.
Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga