Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ormai fare le Cassandre è diventato un mestiere facile, che non richiede grande professionalità, istinto divinatorio o qualità premonitrici. È che chi prende le decisioni anche per noi, segue copioni prevedibili che ubbidiscono a un disegno tracciato da secoli, un moto ripetitivo: quello della storia che si avvita sempre sul perno del profitto e dello sfruttamento, o del movimento del pendolo, il quale ripercorre la stessa traiettoria diverse volte, in versi opposti, ma attende e realizza un eterno ritorno: creare e nutrire nemici per motivare una guerra, alimentare la paura e l’incertezza per limitare le libertà, incrementare la diffidenza nei confronti di chi vive altrimenti da noi da annoverare tra avversari pericolosi e fanatici chiunque esprima critica rispetto a un pensiero comune intossicato dal terrore.
Così, per “motivi di sicurezza”, le autorità francesi hanno vietato la marcia che si tiene in tutto il mondo per reclamare un accordo globale e vincolante sui gas serra ai governi che partecipano al summit. Nonostante la proibizione, in mattinata la piazza cuore del quartiere colpito dagli attacchi del 13 novembre era stata “invasa” da migliaia di scarpe: un’iniziativa per aderire almeno in modo simbolico alla manifestazione mondiale. Poi la situazione precipita alle 14 e mentre in tutte le città del mondo partono i cortei, a Parigi alcuni manifestanti “Anticop21″ decidono di improvvisarne uno non autorizzato.
Le forze dell’ordine in tenuta antisommossa caricano, lanciano lacrimogeni, fermano almeno 100 manifestanti. Pericolosi, pericolosissimi. Hanno gridato: “Stato d’emergenza, stato di polizia, non ci toglierete il diritto di manifestare”. E sono scesi in piazza perché pensano che la guerra ha sempre gli stessi generali e gli stessi mandanti, le stesse vittime “civili” e non. Magari, a volte, cambiano i teatri, gli scenari e le armi, ma certo non si può dire che non sia guerra quella mossa contro l’ambiente, per via di una scellerata smania di dissipazione e sfruttamento illimitato di risorse, razziate in paesi ridotti in servitù da imperialismo e dispotismo interno, rapinate a popoli in fuga e a territori devastati. E non si può dire che non sia una guerra globale, se un padronato planetario per avidità insaziabile ci ha spinti oltre ogni limite, quando ormai la parola mitigazione è diventata utopica, quando i danni sono irreversibili, quando dati accertati profetizzano, anche loro, che non c’è più tempo.
Ecco non so come possiamo chiamare l’altro fronte aperto. Quello contro le libertà e i diritti. Le scaramucce e poi le prime aggressioni sono cominciate ben prima della stato di necessità antiterrorismo, con lo stato di necessità anticrisi. Ambedue vengono trattati come imprevedibili e imponderabili fenomeni, accadimenti paragonabili a terremoti e tsunami, come se non fossero evidenti cause, come se non sarebbe stato possibile contrastarne le origini o almeno governarne gli effetti, anziché subirli, appunto, come eventi ineluttabili e irresistibili, che devono obbligatoriamente indurre alla rinuncia di sicurezze, conquiste, diritti, prerogative, libertà.
E già molti giornali hanno calzato l’elmetto e gli stivaloni e per uno Scalfari che converte la predica domenicale in proclama consigliando Renzi a farsi promotore di una cessione di sovranità dei partner europei in materia di sicurezza e difesa, per un Gabrielli intervistato che ribadisce come vedere tanti militari in divisa in giro per la città, rassicuri la gente, ce ne sono altri che titolano “giro di vite” sul web, come misura forzata e doverosa per la lotta contro il terrorismo, nella veste di altoparlanti del Ministro Orlando, quello che non era riuscito nemmeno a raccogliere i dati sulle industrie inquinanti, Ilva compresa, e sul dissesto del territorio, ma che ora promette un potenziamento del sistema della intercettazioni e rilevazioni e controlli perfino sulle Playstation, e del premier, pronto perfino a rinunciare a twitter, e che annuncia norme di emergenza tali da spingersi fino all’oscuramento del web e delle comunicazioni telefoniche, a imitazione di quanto fatto in Francia.
Il primo passo sarebbe quello di rivedere la direttiva sulla cyber security, approvata dal governo Monti che tra le altre misure aveva attribuito ai servizi segreti la competenza ad accedere ai metadati dei cittadini, e istituendo un complesso sistema di gestione delle emergenze con il coinvolgimento dell’Intelligence e di altre amministrazioni centrali dello Stato.
Non so voi, ma non sono fiduciosa. Non vado in chat, non possiedo una console, non credo che sarei oggetto di particolare cyber – sorveglianza. Ma abbiamo capito che la critica, il voler ostinatamente leggere oltre le righe della stampa ufficiale rappresenta un potenziale reato. E potrei anche essere disposta a rinunciare a Facebook per salvarmi la pelle, a malincuore subirei che qualcuno ascoltasse le mie telefonate personali e non: anche in tempi più combattivi non ho mai pensato che questa concessione e l’annessa rinuncia alla privacy fosse accettabile “non avendo nulla da nascondere”. Il fatto è che mettere in modo tutta questa poderosa macchina di controllo e vigilanza è impossibile. Anche i profani sanno che è irrealizzabile penetrare in tutti gli strati del sistema a cipolla che permette l’uso anche innocente di una Playstation, anche i più ottimisti sono a conoscenza del formidabile livello di preparazione che occorre per infiltrarsi in sistemi di comunicazione: cyber-soldier, detective informatici, specialisti di difesa tecnologica devono possedere competenze ed esperienze difficili da trovare sul mercato e strapagate della multinazionali e c’è da dubitare si prestino in forma volontaria a entrare nei ranghi della Polizia, dove peraltro si dovrebbe cominciare a addestrare una rete di interpreti. Anche i più europeisti e occidentalisti sono consapevoli che in barba a Scalfari, nessun paese è disposto a cedere sovranità e nemmeno a garantire trasparenza, preferendo da sempre, alla collaborazione e al coordinamento, fare gli spioni dentro ai sistemi, alle reti e ai telefoni altrui. Non ci salverà una leva di ragazzi capaci di smanettare come vediamo fare a amici particolarmente talentuosi nel piratare o ai nostri figli. E anche i meno sospettosi si interrogano su quanti amici e famigli tra i fornitori potranno essere benedetti dalla campagna acquisti di hardware e software.
L’impressione, inquietante, è che siamo nelle mani di spacconcelli già attempati che una volta passavano il tempo al tavolo da biliardo e adesso invece a trastullarsi con i wargames.