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Ci fu un fatto di cronaca, uno di quelli che fece parlare per diverso tempo stampa e televisione. A quel tempo diversi bambini scomparvero senza lasciare traccia nella piccola comunità di xxxxx, in Thailandia. Per lungo tempo le ricerche degli investigatori si rivelarono infruttuose. Diverse piste furono seguite. Prima tra tutte si indagò, come è uso fare in queste occasioni, negli ambienti familiari, ma l’ipotesi venne a cadere ben presto quando, dopo l’ennesima sparizione, divenne evidente a tutti che si trattava di qualcosa di ben più spaventoso. Non c’erano indiziati. Nessuno aveva notato facce nuove in città da diversi mesi e, tra i concittadini, non c’era nessuno che potesse anche vagamente corrispondere alle caratteristiche tipiche di un predatore. Nelle settimane e nei mesi successivi le abitudini delle famiglie si adeguarono alla nuova realtà: alcuni genitori si organizzarono e a turno, volontariamente, prima affiancarono le forze dell’ordine nelle ricerche e poi, quando il nervosismo crebbe, alcuni presero a seguire nuove piste autonomamente. Fu proprio in questo modo che il caso alla fine venne risolto, anche se non felicemente come molti si auguravano.
Da qualche giorno giravano strane voci attorno ad una vecchia zoppa che viveva appena fuori città. Di lei si raccontavano da tempo strane storie, si diceva avesse perso i suoi figli in un incendio molti anni prima e che, a seguito di quell’episodio, la donna si fosse rinchiusa in se stessa, allontanandosi da tutto e da tutti, per vivere in quella vecchia casa di legno. Qualcuno sosteneva che Chaba Ngamsri, questo era il suo nome, si dilettasse in pratiche magiche, ma quelle erano ovviamente solo voci incontrollate, abbastanza normali in un paese così piccolo. Fu una mattina prima dell’alba che gli abitanti del villaggio irruppero nell’abitazione di Chaba. La scena che si presentò davanti ai loro occhi fu devastante: i bambini erano lì, la maggior parte di essi gravemente ustionati e con le orbite orfane dei bulbi oculari. Chaba li aveva legati a delle sedie e li aveva sistemati tutt’attorno ad un tavolo. “Fermi! Non toccate i miei bambini!” gridò Chaba. “Maledetta squilibrata, i tuoi bambini sono morti bruciati!”, furono le sole parole che si intesero. Poi il caos ebbe il sopravvento. Qualcuno si lanciò verso la donna con un’arma da taglio e le vibrò due fendenti al volto: due tagli profondi ai lati della bocca, che trasformarono l’ultima espressione di Chaba in un ghigno diabolico. Venne rapidamente circondata. Qualcuno aveva portato una corda con sé. Si fece avanti e, con pochi abili gesti, la fece scivolare attorno al collo della pazza. Pochi istanti dopo il corpo di Chaba Ngamsri penzolava senza vita ad una trave. “Vuoi davvero vedermi morire?”, secondo quanto ci riferiscono le cronache, furono le sue ultime parole.
Ma forse non è andata proprio così. Forse Chaba Ngamsri non è mai esistita, e quello che ho scritto finora è solo un racconto. Un racconto… o forse la trama di un film. Ebbene sì, lo ammetto. D’altra parte lo avrete già indovinato se avrete sbirciando le etichette che ho messo là in alto, appena sotto il titolo. Le voci “Cinema” e “Thailandia” avrebbero dovuto, se così non fosse stato, suggerirvi il tema del post di oggi. Stiamo parlando di “Evil Spirit”, maldestramente tradotto in italiano come “Spirito vendicativo”, i cui riferimenti alla leggenda della Kuchisake-Onna sono talmente evidenti che quasi mi sembra superfluo sottolinearli. Vi ricordate della Kuchisake-Onna, vero? Ne abbiamo parlato qui solo qualche mese fa. Si tratta, per farla breve, di una famosa leggenda metropolitana che circola in Giappone dagli anni Settanta del secolo scorso, ma che affonda le sue radici addirittura nel periodo Edo: una sorta di donna-fantasma vendicativa che si aggira con il volto coperto da una mascherina chirurgica, seminando morte e terrore. Una donna sospettata in vita di essere una rapitrice di bambini, il cui volto appare sfigurato da due profonde cicatrici, due enormi tagli che partono dalle estremità della bocca e giungono fino alle orecchie. Le stesse ferite, come ho già scritto in precedenza, inferte a Chaba Ngamsri nella scena finale di “Evil Spirit”.Qualcuno di voi starà pensando: “Ma come? Scrivi la recensione di un film e ci racconti subito il finale?”. Tranquilli. Le cose non stanno esattamente come ve le ho raccontate finora. Se, come detto, una Chaba Ngamsri non è mai realmente esistita, aggiungo che non è mai esistito nemmeno un film thailandese dal titolo “Evil Spirit”.
Sorpresi? Ricominciamo allora dall’inizio. Shane, un ex tossicodipendente che lavora come proiezionista in un cinema multisala, riesce ad ottenere la pellicola di un film horror thailandese con largo anticipo rispetto alla sua prima proiezione e, allo scopo di saldare alcuni debiti, accetta di realizzare una copia del film e cederla al circuito della distribuzione pirata. Il film in questione, naturalmente, si intitola “Evil Spirit”, la storia di una strega che rapisce i bambini, strappa loro gli occhi, e li tiene con sé come fossero i suoi stessi figli. Il finale l’ho già raccontato: i genitori dei bambini la troveranno e la impiccheranno nella sua stessa casa. Quella che ho appena descritto è la trama di “Coming Soon”, film del 2008 opera del giovane regista thailandese Sopon Sukdapisit. Stiamo parlando di un film nel film, quindi. Una storia che racconta una storia che a sua volta racconta una storia. Se per i primi quindici minuti noi spettatori, assistendo ad “Evil Spirit”, crediamo di veder scorrere le immagini del film che ci siamo scelti, nei successivi ottanta eccoci catapultati improvvisamente in qualcosa di diverso. Improvvisamente ci ritroviamo, assieme ad i personaggi di “Coming Soon”, seduti sulla poltrona di un cinema, con negli occhi gli ultimi tragici istanti di vita di Chaba. Cosa succederà adesso? Ci guardiamo in faccia perplessi, così come perplessi sono gli spettatori dall’altra parte.
Così come “Evil Spirit” citava la Kuchisake-Onna, anche “Coming Soon” non sarà da questo punto in avanti avaro di citazioni, alcune decisamente cercate, alcune altre probabilmente del tutto casuali. Ci rendiamo presto conto infatti che siamo finiti di fronte ad uno dei più classici cliché del recente cinema horror orientale: il video maledetto. “Evil Spirit” infatti porta con sé una maledizione che colpisce, portando ad un’inevitabile morte, chiunque abbia osservato la scena dell’ impiccagione. La mente ritorna in un attimo alla saga di “The Ring” (Ringu) di Hideo Nakata, forse uno dei film più citati dell’ultimo decennio, anche se qui non è una videocassetta il tramite con il quale lo “spirito vendicativo” entra nel nostro mondo (ma, ambientando il film in un cinema, ci siamo andati abbastanza vicini).Personalmente mi è stato impossibile non collegare questa pellicola a quel piccolo gioiello che fu “Circuito chiuso” di Giuliano Montaldo, recensito molto tempo fa qui sul blog, anche se dubito fortemente che Sukdapisit abbia avuto l’occasione di incappare in una dimenticata pellicola italiana anni Settanta con Flavio Bucci e Giuliano Gemma.
Se un qualche tipo di ispirazione è riconducibile al cinema italiano, allora molto più probabilmente questa deriva dal nostro Lamberto Bava, e precisamente dai suoi “Demoni” (1985) e “Demoni 2” (1986): nel primo il male si scatena all’interno di una sala cinematografica, nel secondo la tensione raggiunge il suo apice con uno dei demoni che appare contemporaneamente su più schermi televisivi, scena che ritroviamo tale e quale in “Coming Soon”. Non mi dilungherei oltre sulla lunga sequenza di luoghi comuni dell’horror, quali il corridoio con le lampade che si spengono in sequenza dietro la protagonista in fuga, ma accennerei soltanto ad una piccola trovata autocitazionista: in “Coming Soon” è riconoscibilissimo un riferimento al terrificante finale di “Shutter”, sceneggiato dallo stesso Sukdapisit quattro anni prima. Eh sì, perché sebbene Sopon Sukdapisit sia qui al suo esordio dietro la macchina da presa, va ricordato che nel suo curriculum egli può vantare sceneggiature di film di discreto successo quali “Shutter” (2004), “Alone” (2007), e “Phobia 2” (2009).Se state pensando che “Coming Soon”, per quanto detto, sia un filmetto tutto sommato trascurabile, siete in errore. Si tratta in realtà di un ottimo esempio di metacinema dove, sebbene il regista non si fa alcuno scrupolo a renderlo per tre quarti un’opera di derivazione, ci sorprende con un finale inaspettato, nel quale la soluzione dell’enigma sarà da ricercarsi dietro le quinte della produzione di “Evil Spirit”.Presentato nel corso della XI edizione del Far East Film Festival di Udine, “Coming Soon” arrivò in Italia nell’estate del 2010, come al solito con incredibile ritardo rispetto alla distribuzione estera. Arrivò e scomparve quasi immediatamente, stroncato da una critica impietosa, incapace di riconoscere le potenzialità di un regista che, sebbene penalizzato dall’inesperienza, ha senza dubbio dimostrato di avere tanto da raccontare.
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