Ogni testo letterario – questo ormai è acquisito – si compone nell’incontro tra l’autore e il lettore, costruisce il suo senso ogni volta unico e ogni volta diverso nel dialogo – più o meno fitto – tra questi due soggetti. Poi ci sono autori che cercano di mantenere il più possibile il controllo dell’esperienza narrativa e altri che a questo dialogo si abbandonano. La seconda maniera è infinitamente più difficile, ed è quella che Perec ha scelto per questo libro, composto da due storie apparentemente lontane che si alternano tra loro un capitolo dopo l’altro. La prima è formata dai ricordi autobiografici dei primi anni di vita dell’autore, la seconda dalla descrizione delle regole di vita di un’isola immaginaria – W – dedicata alla pratica e al culto dello sport.Il significato ultimo – e l’emozione – del libro stanno nella tensione tra queste due storie, negli abissi che le separano e nei sottili fili che le collegano, che si chiariscono sempre più andando avanti e sempre più con l’apporto attivo e decisivo del lettore. Ma non è tutto qui. Nel racconto autobiografico, composto a frammenti, Perec mette in moto un altro meccanismo tanto stupefacente quanto efficace: ricostruisce con la certosina precisione di cui solo lui è capace, con chiarezza e dettagli infiniti, alcuni episodi che gli sono rimasti impressi, ma nel farlo si ricorda – e ci ricorda costantemente – quanto indeterminati e labili siano i ricordi, e li rimette in discussione, li confuta, aggiunge loro testimonianze opposte dei parenti o foto che dimostrano inequivocabilmente la fallacia, o l’estrema personalizzazione, del ricordo. Insomma, riesce a essere preciso e indeterminato allo stesso tempo. Simile ma differente quello che accade nella descrizione di W. Anche qui spicca l’estrema precisione di Perec, che addentrandosi nelle pieghe di una serie di regole sempre più rigide e sempre più contraddittorie, nate per garantire la competizione, ma insieme per riaffermare l’arbitrarietà di ogni competizione, mette in scena la perversione di un mondo in un primo momento apparentemente idilliaco – ispirato da valori olimpici – e lo trasforma in un incubo di una potenza indescrivibile. Che poi questo incubo assuma sempre più i contorni di una metafora dei campi di concentramento e che la madre di Perec, ebreo, sia morta ad Auschwitz lasciandolo orfano già piccolissimo (il padre era morto in guerra) è solo una delle letture che credo si possano fare.
W o il ricordo d’infanzia, Georges Perec (Einaudi, 192 pp, 12 €)
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