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Wall-e della Pixar. Computer, definisci: Uomo.

Creato il 30 ottobre 2011 da Spaceoddity
A Willy & Wall-e
Wall-e della Pixar. Computer, definisci: Uomo.Fine del terzo millennio. C'è un piccolo robot malandato, un esserino elettronico di ormai vecchia generazione, addetto all'assemblaggio e allo stoccaggio dei rifiuti lasciati dagli uomini sulla terra, prima della fuga. Il suo nome di fabbrica è Wall-e, ma, essendo l'unico esemplare rimasto del suo e di altri modelli, è diventato un nome proprio. Chiameremo pertanto lui Wall-e e lo seguiremo mentre assiste allo sbarco di una strana astronave e di un'elegantissima robottina - Eve, come la prima donna - alla ricerca della vita.
Ma, saliti che saremo sull'astronave che il regista Andrew Stanton ha allestito, metà Mago di Oz e metà 2001. Odissea nello spazio, scopriremo che Wall-e (2008) è molto più di un film ecologista, un inseguimento o una catena di citazioni. Questo lungometraggio della Pixar offre molti spunti di riflessione. Ma a me, adesso, preme ragionare su un aspetto: l'umanizzazione dei personaggi.
Wall-e e Eve, infatti, presentano tratti di un'umanità commovente: la goffissima tenerezza di lui e il carattere deciso, ma femminilissimo, di lei ricalcano dinamiche affettive e filmiche della più collaudata tradizione narrativa. Beninteso: la più recente animazione fiabesca manca di tutto, tranne che di personaggi simil-umani. Ma in Wall-e, prodotto artistico della migliore tecnologia, questo tratto è preponderante e non è difficile riconoscere nei caratteri dei due robot le fisionomie nostre o di persone che hanno attraversato la nostra vita. Infatti, a differenza di quanto accade con gli androidi, stigmatizzati da una radicale disumanità, i robot e altri personaggi non umani (penso soprattutto a Ratatouille o Scrat ne L'era glaciale) assumono virtù e difetti che siamo soliti assimilare alla più profonda essenza dell'essere umano.
Wall-e della Pixar. Computer, definisci: Uomo.Alla base di ciò, come in tutte le fiabe, c'è una precisa esigenza etica. Meno spirituale del dolcissimo Ortone, dove un trasporto religioso è trasparente, Wall-e indaga su quelli che sono i tratti dell'esistenza umana. L'identità di specie è garantita da alcuni tratti quali le emozioni, i sentimenti, l'affettività, tutto ciò che crea empatia e favorisce così il meccanismo metaforico. Su questo piano, Andrew Stanton - oltre a uno studio di primo piano sull'animazione e le luci - opera alcuni interventi di carattere cinematografico molto interessanti.
Intanto, le citazioni già sottolineate, unite a quelle di Matrix e di molti altri film di ogni genere, che non sono in grado di enumerare, allinea Wall-e a diversi film che hanno l'uomo per protagonista e oggetto di un discorso culturale più ampio. In secondo luogo, ma in stretta correlazione con il primo punto, l'organizzazione sociale del mondo da cui proviene Eve provvede a scansare ogni dubbio di predica ecologista fine a sé stessa.
Gli esseri che abitano questa dimensione in fuga dalla vita sono, al di là delle apparenze, in stretto rapporto l'uno con l'altro e il legame uomo-macchina è una forma già consolidata di rapporto di potere, che non fa pensare a un improvviso colpo di mano, ma a un legame ormai quasi connaturato. Trovo interessantissimo che l'officina-ospedale all'interno di questo orizzonte di benessere simulato pertenga sempre alla sfera intellettuale o cognitiva: in un mondo in cui non c'è il corpo umano a richiamare l'affinità tra l'uomo e la macchina, le malattie da cui sembrano affetti i robot ivi ricoverati sembrano tutte psichiatriche, disturbi del comportamento o dell'intelletto.
Wall-e della Pixar. Computer, definisci: Uomo.La simbiosi tra uomo e macchina si basa su una finzione di felicità, che questa deve dare a quello, illudendolo. Ma Wall-e, dal mio angolo visuale, è un film ottimista: nella devastazione abitata dal piccolo robot, una piccola creatura accompagna il protagonista, una blatta (che dà occasione per verificare i diversi algoritmi del movimento per le diverse creature del film), e la vegetazione sembra rinascere quando meno la si attende. La vita emerge nonostante tutto, la vita che si dava per spacciata: una vita di cui non si indaga la causa, una vita di cui non si comprendono le ragioni, una vita che non contempla la felicità quale suo specifico, e che anzi sembra spazzarne via l'esigenza. Ma una vita a cui ci si aggrappa, una vita che sorprende e che è fonte di una vera e propria rivoluzione, prima interiore e poi sociale.
La vita è la vera protagonista di questa divertente e tenera favola di giocattoli della Disney. Non l'ecologia - che non può mi ricorda la città Leonia di Calvino - e non la solitudine: bensì l'esperienza di essere umani. Quanto manca ancora ad essere uomini?

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