Walled in
di Gilles Paquet-Brenner
Canada, USA, Francia 2009
Una giovane laureata in ingegneria edile è la responsabile di una società addetta alle demolizioni delle strutture inutilizzate. Come primo incarico deve compiere un sopralluogo in una remota cittadina, dove sorge un bizzarro e monolitico palazzo, abitato oramai solo dalla custode, da suo figlio e da un paio di anziani inquilini. Il palazzo si porta appresso una storia che ne ha decretato la decadenza e l'abbandono: costruito da un architetto tanto geniale quanto bizzarro, Joseph Malastrazza, l'edificio è stato il terreno di caccia di un serial killer che era solito murare vive le sue vittime nelle pareti del palazzo. Ma perché lo faceva? Si trattava solo di pazzia, o forse c'era un disegno nelle sue gesta?
Commento
Là fuori, da qualche parte, esiste ancora un cinema fatto di silenzi e di inquietudini sussurrate, non di urla, spari ed effettacci efferati. Walled in fa parte di questa categoria, piccola ma lodevole.
Innanzitutto è un film in cui la fotografia gioca una parte importante. Il palazzo progettato dall'architetto-alchimista Malastrazza è un catalizzatore, uno di quei luoghi che catturano l'occhio proprio in virtù della loro imponenza decadente. Affacciandosi su una brulla distesa di nulla ai margini di un insignificante paesino, il palazzo è un monolito, un monumento, una metafora alla genialità umana che, urlata nel grigiore e nel piattume, diventa follia.
Centosessanta appartamenti dislocati su otto piani e solo quattro persone rimasti ad abitarlo. All'interno, tra la desolazione di stanze vuote, corridoi in penombra e muri abbattutti, laddove il serial killer intombava le sue vittime, qualcosa pulsa. Per una volta non si tratta di un mostro, di un maniaco o di qualche spettro orientaleggiante, bensì di una forza, una presenza invisibile e intangibile, che forse neppure esiste. E che, se esiste, è in qualche modo rappresentata dai geroglifici incisi sulle pareti, da certe geometrie che sembrano casuali, ma che in realtà pescano nell'occulto campo della geometria esoterica.
Nel mezzo non manca il fattore umano. Perché se la creatura-palazzo, di cemento, vetro e metallo, non può far altro che attendere la distruzione decisa dalla società per cui lavora la giovane Sam, i suoi inquilini sono ancora in grado di cambiare le cose. O forse di farle precipitare del tutto.
Infatti il regista non esita a frugare nell'animo e nei pensieri dei pochi (ma bravi) protagonisti. La cosa migliore in questo contesto è lo strano rapporto che nasce tra il figlio quindicenne della custode e la nostra Sam, interpretata da una Misha Barton finalmente sopra il livello di mediocrità da soap opera. Non manca qualche banalità, così come si nota il poco coraggio di tirare la stoccata finale nel delineare il gioco a due tra Sam e l'adolescente ostaggio della sua prima, fulminante cotta.
Walled in è tratto da un romanzo di Serge Brussolo, che purtroppo non ho avuto il piacere di leggere (se non sbaglio non è mai stato tradotto per il mercato italiano). Non ho quindi elementi per giudicare se il film si attiene o meno alla versione cartacea. Quel che mi rimane sono dunque delle buone impressioni, una pellicola fatta di atmosfere affascinanti, di richiami esoterici che avrebbero meritato più spazio, e di protagonisti non eccezionali ma comunque diligenti nell'interpretare i loro ruoli.
Di Walled in qualcosa rimane. Coi tempi che corrono non è poco, anzi, è un bel segnale.
Consigliato.