Diciamo che in generale War Horse, ad un’occhiata superficiale di locandina, trailer & co. si potrebbe facilmente ascrivere e catalogare a quella serie di opere telecinematografiche riguardanti animali super-intelligenti (Lassie, Furia, Free Willy, etc), ed effettivamente Joey, il cavallo co-protagonista è un animale che denota grande intelligenza, ma il film non esaurisce in ciò la sua tematica. E’ indubbio che nella figura del cavallo ci sia in ballo una buona dose, conscia o meno non saprei, di simbolismo: il cavallo è l’animale preferito degli adolescenti (in particolare delle adolescenti) ed è un grande simbolo di libertà, oltre che di resistenza ed eleganza allo stesso tempo, tanto più per la funzione che svolge in questo film, dove viene adorato da più di un padrone adolescente, un elemento di bellezza che può essere adorato da una parte e dall’altra dei due schieramenti proprio perché privo della parola.
Tratto da un romanzo di Michael Mopurgo e da una piece teatrale a questo ispirata, War Horse parla dell’amicizia di un ragazzo Ted con il suo cavallo Joey e delle difficoltà che dovrà superare per tenerlo con sé, in particolare a causa della guerra. Film dedicato ai tantissimi cavalli che morirono in battaglia nel corso della prima guerra mondiale, dopo il non proprio riuscitissimo Tin-Tin, mastro Spielberg stavolta ci regala un film epico dedicato all’ultima grande guerra condotta all’antica maniera, con trincee e fucili con alle estremità ancora le baionette. Proprio perché è una guerra che si combatteva in modo vecchio, Spielberg ce la racconta perfettamente alla maniera dei grandi classici del cinema, alla maniera dei meravigliosi colossi di Lean, tutto il contrario di come viene racconta la seconda guerra mondiale in “Salvate il soldato Ryan”, guerra più spietata e moderna, alla quale dedica molta ruvida camera a spalla (tra l’altro è stato il primo a usarla in un film di guerra). Il primo classico War Horse mi fa tornare alla memoria, in particolare per la prima parte del film ambientata nel paese d’origine del protagonista, è Via col vento di Fleming, in cui la storia personale (il paese natìo e i familiari) e quella del paese (la guerra e le sue conseguenze) coesistono di pari passo, la prima inevitabilmente influenzata dalla seconda. Microstoria e macrostoria.
Il film è opera del solito eccezionale cast tecnico di Steven Spielberg, ancora lo stesso da anni e anni di collaborazione, che può vantare la presenza di John Williams alla colonna sonora, Micheal Kahn al montaggio e soprattutto Kaminski alla fotografia, un direttore della fotografia capace di capolavori incredibili quali la fotografia di Schindler’s list (qui potete trovare la recensione), di Salvate il soldato Ryan già nominato sopra, di A.I – Intelligenza artificiale e di Minority Report, solo per nominarne alcuni.
Poi… Diciamolo: non è che se un film non vince neanche un premio Oscar bisogna buttarlo al secchio, spesso la vincita è influenzata dagli incassi del film e dalla potenza della produzione che appoggia il film nei confronti della critica, o da motivi di vario genere: comunque 6 nomination sono un bottino di tutto rispetto…
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