Magazine Cinema
(id.)
di Ermanno Olmi (Italia, 2001)
con Hristo Jivkov, Sergio Grammatico, Sasa Vulicevic, Aldo Toscano, Sandra Ceccarelli
durata: 100 min.
★★★★★
"Chi fu il primo che inventò le spaventose armi? Da quel momento furono stragi, guerre, si aprì la via più breve alla crudele morte. Tuttavia il misero non ne ha colpa. Siamo noi che usiamo malamente quel che egli ci diede per difenderci dalle feroci belve"
( Tibullo, I sec. a.C .)
Nel novembre del 1526 un esercito di 14mila lanzichenecchi oltrepassa il Brennero e invade la Pianura Padana, diretto a Roma. Li comanda il generale teutonico Zorzo Frundsberg, veterano di guerra che porta sempre con sè un cappio d'oro con cui vorrebbe impiccare il Papa. A difendere lo Stato Pontificio, oltre alle armate ufficiali, c'è un giovane capitano di ventura alla guida di un manipolo di mercenari: si chiama Giovanni de'Medici, detto Giovanni dalle Bande Nere per l'abitudine di dipingere di nero le armature dei propri soldati, in modo da poter compiere rappresaglie anche durante le ore notturne. Giovanni combatte eroicamente il nemico, ma nulla può contro i giochi di potere perpetrati dai potenti: il Duca di Ferrara Alfonso I d'Este pur di impedire la guerra sul suo territorio si consegna al Frundsberg, aprendogli le porte del suo regno e regalandogli quattro piccoli cannoni (detti 'falconetti'), uno dei quali colpirà Giovanni a una gamba durante lo scontro decisivo. La medicina dell'epoca, ancora totalmente impreparata a curare le ferite da arma da fuoco, nulla può contro la cancrena: Giovanni de'Medici morirà quattro giorni dopo, nel suo letto, tra sofferenze atroci.
Credo che in pochi si siano resi conto dell'importanza di un film come Il mestiere delle armi. Quando uscì molti lo scambiarono 'solo' per un buon film biografico, altri come il classico oggetto d'autore perfetto per un festival del cinema. Eppure, proprio in questi giorni così drammatici e alla vigilia di una ricorrenza importante e simbolica quale il centenario della Grande Guerra, ci accorgiamo della grandezza di questo capolavoro, che trae spunto dall'orrenda fine di Giovanni de'Medici per ricordarci un passaggio epocale della Storia. Ma, attenzione, non solo della storia italiana ma della storia del mondo intero, ovvero il passaggio dalle armi bianche alle armi da fuoco: un 'dettaglio' che cambiò i destini di tutto il pianeta. Un momento che solo Ermanno Olmi fino ad oggi ha avuto il merito di ricordare e immortalare, a testimonianza di quanto sia difficile (non solo in Italia) mantenere viva la memoria storica.
Una svolta epocale dicevamo, e per una volta questa non è una frase fatta: il giorno in cui il valoroso capitano 'deMedici venne ferito da un colpo di cannone che lo avrebbe condannato a una morte lenta e dolorosa, la concezione stessa di guerra cambiò radicalmente. Fino allora la guerra era concepita come un 'lavoro', un modo per fare politica estera, barbaro e inconcepibile finchè si vuole ma praticato da uomini valorosi che si affrontavano faccia a faccia e per quello venivano pagati, e le cui gesta erano venerate e tramandate ai posteri. Il loro era un mestiere, il mestiere della guerra. Ma con l'avvento dell'artiglieria tutto cambia... ecco la guerra moderna, sembra dirci Olmi: Giovanni de'Medici viene ferito da un colpo di falconetto nascosto nelle retrovie dell'esercito alemanno, sparato chissà da chi. Basta premere un bottone per uccidere, chiunque può farlo, anche il più codardo dei soldati. Non c'è più rispetto per nessuno, i cannoni e le bombe non fanno distinzione tra buoni e cattivi, vigliacchi e valorosi, guerriglieri e cittadini inermi.
I cannoni e le bombe uccidono e basta. In questa 'nuova' guerra non c'è niente di epico, di eroico, ma solo dolore, sdegno, paura. La barbara morte di Giovanni de'Medici fece enorme impressione ai tempi, tanto che inizialmente gli stessi capitani di tutti gli eserciti allora conosciuti s'interrogarono se valesse la pena trovare un accordo per non consentire l'uso delle armi da fuoco nei combattimenti, salvo poi piegarsi ovviamente alla ragion di stato (come ci ricorda beffardamente la didascalia finale). Olmi, da cattolico osservante ma razionale quale è sempre stato, fa un'evidente correlazione tra la figura 'epica' di Giovanni e quella di Cristo (lo stesso attore che lo interpreta si chiama Hristo... e conoscendo Olmi non siamo sicuri che sia un caso): Giovanni è un Messia terreno, un uomo neppure troppo timorato di Dio (è violento, sboccato, ha avuto un figlio illegittimo da una nobildonna sua spasimante) ma che diventa suo malgrado il simbolo-martire di una società ignobile, vile, che massacra i suoi uomini migliori. E' la nuova concezione della politica: i destini del mondo vengono decisi, più che sui campi di battaglia, nelle oscure stanze del potere. Triste pensare che cinque secoli dopo le cose vanno ancora così... anche peggio.
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