Waragi è un termine generico che in Uganda indica le bevande alcoliche distillate in casa… la nostra grappa per intenderci. Secondo la zona di produzione acquista diversi nomi; waragi/enguli nell’area centrale, a est è chiamato “Kasese” mentre a nord è più conosciuto come “LiraLira”. Il procedimento di distillazione non varia molto nelle diverse parti del paese, solo gli ingredienti sono differenti secondo la disponibilità agricola locale.
La prima apparizione del vocabolo avvenne quando i militari britannici crearono le principali direttrici stradali dell’Africa Orientale. Nell’impresa erano affiancati da brigate di soldati nubiani e per mantenere il loro buon umore con il giusto spirito -scusate la facile ironia- li rifornivano con generose dosi di waragi. Il nome deriva dall’inglese “war gin”… così i coloni chiamavano il distillato alcolico conosciuto in lingua Luganda come enguli. Il termine fu creato con l’intenzione di trasmettere ai soldati la fiducia necessaria per andare in battaglia -quello che gli inglesi chiamano oggi “coraggio olandese”.
La distillazione illegale e il consumo di bevande alcoliche sono molto diffusi, trasversali per età/genere (poiché si rifanno ad antiche tradizioni di molte tribù) e socialmente accettate nel moderno Uganda. Un rapporto dell’OMS del 2004 “Global Status sull’Alcol” classifica il paese come consumatore leader al mondo pro capite. In conformità con una ricerca del 2007 il consumo di superalcolici raggiunge i 17,6 litri a testa -dato insolitamente elevato rispetto alla media nei paesi circostanti tenendo conto che la stragrande maggioranza proviene da distillazioni illegali. Il quadro è così fosco da far dire ad alcuni osservatori che i costi economici e sociali procurati dall’abuso di alcol in Uganda possono essere più pesanti di quelli derivanti da due bravi killer come AIDS e malaria.
La produzione illegale di alcolici è un problema reale in molti paesi africani ma in Uganda la situazione è veramente drastica poiché raggiunge 80% del consumo. Il liquore è facile da distillare ed è molto popolare, grazie un basso costo di acquisto, anche se la vendita di stock adulterati ha causato cecità e morte fra numerosi avventori specialmente negli ultimi anni. A parte le tradizioni ancestrali fin qui accennati esistono delle connivenze a vari livelli, anche politiche, che ne incentivano consumo e produzione tanto che le leggi esistenti in materia sono sostanzialmente inapplicate e le pene blande.
Un buon bicchiere di waragi proveniente da distillazione domestica -solitamente ricavato da banane, miglio o canna da zucchero- ha un costo di circa un sesto confrontato con quello imbottigliato legalmente. La produzione illegale è sanzionata solamente con una multa di circa due euro e con la reclusione massima a sei mesi di carcere. I casi però sono spesso abbandonati prima di comparire davanti a un giudice e dato che non esiste una prospettiva di pena -che potrebbe indurre almeno alla “moderazione”- tutti fanno quello che gli pare.
Sempre dal rapporto OMS i dati indicano un 22% della popolazione come frequente bevitore -almeno cinque giorni di bevute settimanali- fra questi il 60% è classificato come forte bevitore -dose giornaliera media di almeno 40 gr di alcol puro per gli uomini e di 20 gr per le donne. Fatti quattro conti emergono cifre veramente impressionanti e non solo sterili dati ma veri drammi sociali e famigliari. Considerando gli abitanti intorno ai trenta milioni, i forti bevitori sono quasi quattro milioni… altre il 13% della popolazione. Quest’ultimo dato è però solamente indicativo e non si può considerare reale perché basato su percentuali di un rapporto del 2004 aggiornando la popolazione al 2012… continua