
Twin Peaks ha generato uno dei più grossi misunderstanding nel panorama culturale contemporaneo, alimentato sicuramente dalla "facilità" thrilling con cui si presentava al pubblico generalista. L'ultima new wave della serialità televisiva, marchiata come non mai dalle stimmate critiche di autorialità, ha approfittato di questo equivoco strutturale arrivando a mistificare le originali caratteristiche del capolavoro di David Lynch per darsi un conveniente serbatoio d'idee dal quale attingere ogni qualvolta si è reso necessario il giocare il jolly dell'opera macina-ascolti. Il caso di Wayward Pines è la rappresentazione iconografica di questo assunto.
Lanciata dalla Fox in contemporanea in centoventicinque paesi (paura dello streaming illegale o delle recensioni negative?) nel 2015, la serie ideata e creata da Chad Hodge è basata sulla trilogia letteraria di Blake Crouch, uscita tra il 2012 e il 2014. Il tratto distintivo della pre-produzione è stato la ferrea decisione di condensare le quasi mille pagine della controparte cartacea in una sola stagione di dieci episodi evitando di naufragare nella mediocrità ( Il prigioniero) e nell'improponibile ( Lost). Insomma, si è puntato da subito verso le dinamiche dell'instant movie che avrebbero dovuto salvaguardare attraverso tale celerità e stringatezza la freschezza della trama. Si è inoltre fatto ricorso con sapienza all'hype internettiano tramite un buon trailer e annunci sull'ispirazione twinpeaksiana del progetto.
Alla luce dell'avvenuta visione dell'intera stagione cercheremo di tracciare una mappa del fallimento di Wayward Pines chiarendo i mancati punti di contatto tra questa serie e il preclaro modello di riferimento con un linguaggio di chiara leggibilità anche ai sedicenti intelligenti showrunners statunitensi. Ecco un catalogo pronto all'uso di chi voglia servirsene:
1) Per dare caratura cinematografica (a differenza dei videogiochi la TV continua ad arrancargli dietro) al tuo prodotto non basta chiamare il primo regista che risponde alla tua email. David Lynch creò da sé il soggetto di Twin Peaks e diede a Mark Frost il compito di aiutarlo a sceneggiarlo e soprattutto smerciarlo al primo studio che lo finanziasse. Ci credeva così tanto che quando la serie gli fu scippata si scrisse un film che ne raccontasse gli antefatti ( Fuoco cammina con me, 1992). Nel caso di Wayward Pines, Chad Hodge si è affidato a un M. Night Shyamalan caduto in disgrazia e così svogliato da dirigere solo il pilot (e che avendo subodorato l'affare si preoccupa piuttosto di assicurarsi la figura del produttore).
2) Twin Peaks ha raccontato la provincia americana meglio di chiunque altro perché conosceva a menadito gli anfratti di quel mondo e ha trovato i giusti mezzi narrativi per portarlo su schermo. L'opera di Lynch e Frost non temeva di fare largo ricorso alle melensaggini della soap opera (vedi le frequenti sottotrame avulse dalla storyline principale) e tratteggiare con insistenza quasi morbosa alcune peculiarità della cittadina arrivando perfino a far addentare (metaforicamente, naturalmente) la torta di ciliege a causa della frequente ricorsività di quel dolce culinario. Così, quando i personaggi erano interessati da uno sconvolgimento sovrannaturale si provava per loro una fortissima carica di empatia proprio per il grado di familiarità che la serie era riuscita a creare col proprio pubblico. Wayward Pines non ha niente di tutto questo. La creatura artistica di Hodge prende tutti gli stilemi del caso ma li sviluppa in appena una manciata di inquadrature. Le geometrie livellanti, i cieli plumbei, il clima di sospetto sono solo una metonimia usata alla carlona per arrivare allo scopo diegetico. Ottima scenografia, splendido artwork anche a livello di sceneggiatura: ecco il segreto di Pulcinella della stragrande maggioranza delle serie TV. E Wayward Pines sceglie di connotare in questa stessa maniera abulica il contesto geografico delle vicende. L'agente Ethan Burke (Matt Dillon) viene respinto dagli abitanti del paesino dell'Idaho o, per meglio dire, da caratterizzazioni psicologicamente primarie di essa. Il portiere dell'albergo, lo sceriffo, l'infermiera sono infatti funzioni narrative, non personaggi con un background o con una vita propria indipendente dall'interazione col protagonista.
3) Quando si parla di mystery c'è una regola a cui non si sfugge: il segreto deve essere potente. Lo era quello di Twin Peaks: l'agente Cooper scopre che Laura Palmer era stata uccisa dal padre dopo un'indagine piena di colpi di scena, aiuti mistici, svelamento di perversi maneggi occulti. In Wayward Pines la soluzione è proprio quella che il cinema ci ha insegnato a vagliare come la prima delle ipotesi: il classicissimo salto temporale. Nonostante l'apparenza contemporanea, la piccola città di Wayward Pines è l'ultima roccaforte umana rimasta nel lontano 4028. Lo svelamento di questa realtà avviene prestissimo, alla puntata numero cinque, e risolve in uno spiegone di appena venti minuti le stranezze precedenti (che non avevano attecchito più di tanto, in ogni caso). Da qui in poi, la serie prende altre strade di genere e vira sulla distopia e sull'azione spiccia. Questa formula narrativa è presente sin dalla trilogia di Blake Crouch ma è la trasposizione cinematografica ad uscirne maciullata. Condensare in un'unica breve stagione questo drastico cambio di rotta fa sembrare indecisione produttiva la miscellanea primigenia. Un ulteriore problema della serie Fox è che tocca tanti generi con la stessa semplicioneria. Wayward Pines è, infatti, più di un prodotto derivativo: non ricicla idee altrui ma gli scarti di migliaia di pilot e li assembla in una stagione di rara incostanza.
4) La prossima volta che qualche magnate del piccolo schermo vuole creare una serie TV con share altissimo mi chiami. Mi trova su Facebook, Twitter etc. etc.
