Magazine Cinema
Durata: 131'
La trama (con parole mie): nel novembre del 1970 una terribile tragedia aerea conduce alla morte l'intera squadra - fatta eccezione per quattro elementi -, lo staff tecnico ed alcuni sostenitori dei Marshall, orgoglio dell'omonima università e di una città letteralmente distrutta dall'evento.
Ingaggiato l'autopropostosi coach Jack Lengyel, sognatore entusiasta, il Presidente della squadra Dedmon si trova ad affrontare il complesso processo di ricostruzione, che parte da una richiesta fatta alla Federazione di convocare in squadra anche le matricole e conduce allo spirito di Lengyel stesso e del suo assistente Red Dawson, scampato per una casualità all'incidente.
Riusciranno dunque i Marshall a tornare i Marshall? E quale sarà il prezzo per rialzarsi dopo un simile evento?
A prescindere dalla mia passione per tutto quello che è a stelle e strisce - anzi, direi più tutto quello che mi piace -, il cosiddetto Football americano è fin dai tempi dell'infanzia un vero e proprio must, da queste parti, per quanto non segua l'NFL dai tempi dei Dolphins di Dan Marino: ricordo quando imparai le regole attraverso i videogiochi ai tempi del Sega Mega Drive, così come l'esaltazione dei tempi più recenti grazie ad una delle serie televisive del cuore di questo vecchio cowboy, Friday Night Lights.
We are Marshall, solido prodotto di genere sportivo/patriottico made in USA fino al midollo diretto dal mestierante McG e sorretto da un cast di prim'ordine - da Matthew McConaughey a David Strathairn -, giaceva in attesa nei meandri del Saloon da parecchio tempo quando ha finito per essere ripescato in una settimana povera di uscite in sala e novità di spessore grazie a Julez, che spesso e volentieri finisce per conoscermi meglio di quanto non creda di farlo io stesso.
Il risultato è stata una di quelle visioni che tanto adoravo nei primi anni della mia crescita come spettatore: una vicenda emozionante e coinvolgente, a tratti sicuramente ingenua e retorica eppure impossibile da non seguire con partecipazione dall'inizio alla fine, resa interessante da un approccio - legato ovviamente anche alle reali vicende di Jack Lengyel e dei suoi Marshall - che nonostante la cornice non fa troppe concessioni e finisce per ricordare i perdenti di successo di Moneyball o il primo Rocky.
A prescindere, dunque, dalla cronaca di fatti drammatici che divennero motivo di riscatto positivo non solo per una squadra di football non professionistico, ma anche di un'Università e di una città, la parte più interessante di questo prodotto va ricercata nell'analisi per nulla superficiale del lavoro che richiede una ricostruzione affinchè si possa, un giorno o l'altro, tornare "a riveder le stelle".
In un certo senso, più che la rinascita di un'istituzione sportiva americana, assistiamo alla costruzione delle sue fondamenta, alla testimonianza di fatti isolati che, a prescindere dal grado di successo immediato, finiscono per assumere la connotazione di una vittoria alla lunga distanza, grazie al lascito che hanno garantito alle generazioni future: entusiasti come Jack Lengyel oppure no, i protagonisti dell'impresa dei Marshall chiamati a colmare il vuoto di una ferita che probabilmente non potrà mai guarire del tutto hanno finito per rendersi complici di un'impresa unica nel suo genere, che ha riportato alla mia mente quella del Grande Torino finito contro il basamento della Basilica di Superga, e non solo rispetto all'incidente aereo.
La perdita di un'intera squadra sportiva, in occasioni come queste, rappresenta, di fatto, la perdita non solo di simboli, idoli, risultati, ma anche e soprattutto di genitori e figli, amici, parenti, fidanzati, addirittura un'intera generazione che pare essersi compressa in un numero "limitato" di vittime: rialzarsi non è mai facile, così come fare tesoro del proprio dolore, della responsabilità di essere ancora vivi, quasi come accade con i sopravvissuti alle guerre.
Ed è il riscatto, il comeback - come si direbbe oltreoceano -, uno dei punti forti della cultura statunitense: We are Marshall rappresenta, racconta e fotografa proprio quell'istante, quella riscossa, quella sensazione di quasi invulnerabilità che avvolge e porta a compiere imprese che si pensavano impossibili.
Anche quando, prima ancora che dalle vittorie, passano da cocenti e clamorose sconfitte.
Nessuno ha mai detto, infatti, che la strada per la Hall of Fame debba essere necessariamente costruita su incontrastati ed a volte perfino noiosi successi.
MrFord
"Don't know what's comin' tomorrow
maybe it's trouble and sorrow
but we travel the road, sharin' our load
side by side."
Ray Charles - "Side by side" -
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