Come l’anno scorso, questo sabato di inizio settembre – riuscissi, ci starei per tutta la durata – sono stata a Mantova al Festivaletteratura.
Anche questa volta ho scelto due eventi molto diversi da loro: uno sul filone dei miei interessi, l’altro per gettare un’occhiata in faccende di cui poco so e che mi piacerebbe approfondire.
La mattina è trascorsa con Roddy Doyle ben intervistato da Enrico Franceschini. Inutile dirvi che ho letto con piacere molti libri di Doyle – e che quindi ho comprato Londra Babilonia del suo intervistatore – e che l’incontro con l’autore non mi ha delusa. Quello che pensavo fosse lo scrittore che si affacciava dietro i libri, tale mi si è presentato sotto la tenso-struttura del Museo Diocesano. L’ora e mezza a disposizione è trascorsa in modo piacevole, tra domande intelligenti e risposte argute, gentili e vivaci. Si è parlato di Irlanda e scrittura, della commistione tra inglese e irlandese che risulta in un utilizzo creativo della lingua, di consigli a chi scrive, della morte spiegata ai bambini, tema del suo ultimo racconto.
Nel pomeriggio ho ascoltato, circondata da nostalgici, Joe Boyd ricordare la stagione d’oro del rock inglese degli anni sessanta, mal intervistato da Riccardo Bertoncelli. Ho acquistato “Biciclette bianche”, sentito nomi di cui conosco qualche canzone, preso appunti su quanti mi suonavano sconosciuti. Incontri così indicano piste e aprono strade che poi è sempre interessante percorrere.
Mettendo a confronto due esempi così diversi di incontro, riflettevo passeggiando per una Mantova meno affollata di quanto la ricordassi l’anno scorso ma altrettanto calda, su un paio di pensieri che mi ribollivano in testa. Il primo riguarda la differenza tra l’essere un artista e l’essere in compagnia di artisti. Doyle è un creatore di mondi e personaggi, Boyd ha capito quanto fossero validi i mondi creati da altri e adesso li racconta.
Il secondo è che un intervistatore, per quanto famoso e capace, ad un festival di questo genere dovrebbe ritirarsi nell’ombra per far risaltare il più possibile l’ospite, cosa non facile ma necessaria, altrimenti si perde di vista il motivo della presenza dell’ospite stesso. Lode e gloria ai due traduttori, come sempre: fa sempre l’effetto di una pacca sulla spalla rendermi conto che il discorso lo capisco da sola ma queste persone svolgono – e qui si tratta non solo di stare nell’ombra ma di essere capaci di rendere le parole di qualcun altro al volo – un servizio necessario per molti degli spettatori.
Dato che la cultura passa anche dalla gastronomia, prima del primo incontro ho fatto rifornimento di pasta fresca (tortelli di zucca e tulipani al radicchio rosso e patate) e sbrisolona; tra un evento e l’altro ho omaggiato un piatto di bigoli al guanciale e aceto balsamico; sulla strada del ritorno ho comprato tre zucche che sono finite, pulite e tagliate a dadini, nel congelatore per le zuppe invernali.
Direi che andata benone,no?