Regia: Ted Geoghegan
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 84'
La trama (con parole mie): Anne e Paul Sacchetti, che hanno da pochissimo perso il loro unico figlio in un incidente d'auto, abbandonano la città per stabilirsi in una vecchia casa di campagna nel New England, pronti a ricominciare da capo. Quando, però, alcuni strani fenomeni uniti all'atmosfera che regna nel paese poco distante finiscono per inquietarli e spingerli a contattare i genitori dell'ex compagno di stanza del college del loro ragazzo, esperti in materia nell'ambito del sovrannaturale, la situazione precipita: la casa che hanno acquistato per ricominciare a vivere, infatti, è segnata da una maledizione legata alla prima famiglia che vi dimorò a metà dell'ottocento, e pare che, ogni trent'anni, la stessa richieda un tributo di sangue al mondo per poter tornare al silenzio.Cosa accadrà, dunque, ai Sacchetti ed ai loro ospiti?
Guardandomi indietro, penso non saprei assolutamente quantificare il numero di film horror visti dalla prima adolescenza fino ad ora: potrei addirittura pensare che sia, numericamente, il genere che più ha visitato gli schermi delle varie incarnazioni di casa Ford fin dai miei primi passi nel mondo della settima arte, e da quelle notti d'estate a cavallo tra gli anni ottanta e novanta fino ai tentativi attuali di rimanere quantomeno lontanamente inquietato, gli esperimenti siano stati davvero innumerevoli, dallo slasher al quasi thriller, dal trash all'inquietudine esistenziale.
We are still here, prodotto low budget firmato dal semisconosciuto Ted Geoghegan, è giunto da queste parti spinto dalle recensioni più che lusinghiere firmate da colleghi affidabili come Bradipo e Lucia più che dalla fin troppo impietosa valutazione su Imdb, e nonostante lo scetticismo iniziale, grazie ad una ricostruzione splendidamente vintage - è ambientato nel settantanove, anno al quale sono ovviamente molto legato -, un citazionismo assolutamente non invasivo o spocchioso, interpreti amatissimi dai fan del genere - personalmente, ho trovato mitico Larry Fessender, che peraltro mostra una somiglianza non indifferente non solo con Jack Nicholson, ma anche con un mio zio acquisito - ed un paio di cambi di registro perfetti per evitare che lo spettatore perda interesse e che tutto risulti fin troppo banale finisce per risultare una delle cose più interessanti che l'horror abbia regalato ai suoi appassionati quest'anno, dimostrando quanto siano importanti passione e voglia di raccontare una storia a fronte di budget milionari o tecnicismi superflui.
Una visione a tempo perso, dunque, divenuta un richiamo a piccoli grandi cult come La casa nera, che ripercorre diversi aspetti del genere, dalle case infestate e l'inquietudine del suggerito, più che del visto, della prima parte, allo spauracchio dell'uomo nero della fase centrale dello svolgimento fino ad un epilogo in grado di mescolare le carte in tavola e ricordare più l'angoscia di Cane di paglia mescolata abilmente allo splatter e al gore, finendo per indurre a simpatizzare per gli oscuri abitanti della casa, divenuti minuto dopo minuto protagonisti affascinanti e tragici, pronti a legarsi, nel sangue o nel destino avverso, alla coppia protagonista della pellicola, passata dall'essere involontariamente bersagliata da Julez e dal sottoscritto a causa della somiglianza del protagonista con Enrico Bertolino ad un tifo da stadio nel confronto con i loro aspiranti aguzzini a suon di colpi di coltelli da cucina - interessante, in questo senso, anche il fatto che non si assista ad una di quelle tipiche trasformazioni da gente comune ad aspiranti Rambo, ma che si resti nell'ambito della logica che fin troppo spesso latita, quando si parla di produzioni di questo genere -.
Un produzione povera, dunque, ma appassionante e ben strutturata, che tiene legati dall'inizio alla fine ed è favorita, oltre che dalla cornice, anche da un minutaggio finalmente a portata di stanchezza post-lavorativa infrasettimanale, che ricorda cose come The house of the devil o The conjuring in una versione decisamente più terra terra, ma non per questo meno interessante: e dai Dagmar - ottimi nella loro raffigurazione - alla presenza, sia solo presunta o effettiva, dello spirito del figlio morto della coppia dei Sacchetti, passando per gli abitanti del piccolo paese dove hanno scelto - sciagurati loro - di trasferirsi per ricominciare a vivere dopo il terribile lutto che li ha colpiti, gli antagonisti hanno tutti lo spessore giusto per non essere dimenticati.
E nel faccia a faccia dell'epilogo tra Dagmar in persona e Paul, c'è tutto il dolore dei padri che hanno perso qualcosa che non potranno più ritrovare, qualcosa che nasce dal sangue e che neppure tutto il sangue versato del mondo potrebbe riportare indietro, o risanare.
Siamo ancora qui, recita il titolo.
Ed è un bene che film come questo lo siano.
Per il Cinema, e per noi appassionati.
MrFord
"Hold tight
wait 'til the party's over
hold tight
we're in for nasty weather
there has got to be a way
burning down the house."Talking heads - "Burning down the house" -
Magazine Cinema
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