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Weekend: una storia gentile sull’intimità amorosa

Creato il 17 marzo 2016 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
Weekend

È vero, come hanno detto in tanti, che Weekend racconta l’intensità di un incontro, indipendentemente dal genere dei protagonisti, i quali si aprono l’uno all’altro in un’intimità che non crea imbarazzo, neppure nelle scene di sesso. Racconta lo scambio, reso con il caffé che Russel (Tom Cullen) porta a Glen (Chris New) dopo la prima notte insieme, ricambiato da Glen la mattina del secondo giorno, così come tutto è restituito: gli sguardi, le effusioni, le parole.

Due giorni in tutto, in realtà, da venerdì sera a domenica pomeriggio. E non interi, perché Russel il sabato mattina va a lavorare in piscina dove fa il bagnino (con la bella sorpresa di trovarsi Glen all’uscita), e per ben tre volte si separano. Per tre volte seguiamo l’allontanamento di Glen dalla prospettiva dell’appartamento di Russel al quattordicesimo piano. Lo vediamo rallentare il passo, rimpicciolito dalla distanza, e ci commuove questo suo andare incerto, un piccolo addio ad anticipare quello annunciato. Ma Glen non è alto neanche da vicino (e da molto vicino sono ripresi i personaggi, sempre), perché, come dice Russel in una delle tante confessioni stimolate da Glen, a lui piacciono gli uomini bassi, lui che invece ha un corpo muscoloso e ben allenato. Forse ha bisogno, da timido qual è, ed insicuro, di dominare l’altro almeno fisicamente. Sembrerebbe proprio un concentrato di virilità, fatta di capelli e barba scura, mentre il suo nuovo partner è gracilino, chiaro e molto meno appariscente.

Sarà Glen,  in questo pugno di ore, a stabilire  il tipo di comunicazione, che vuole sia il più aperta possibile, tanto da registrare (proprio con il registratore!) le impressioni del nuovo amico e amante. Russel si schernisce, non ce la fa, ma poi piano piano si lascia andare, si fida e si affida. Parlano di tutto, di sesso, dei genitori assenti, di quanto si dice o non dice sulla propria omosessualità. Russel non ama confidarsi neppure con gli amici, mentre Glen sbandiera a tutti le sue scelte, imponendosi e provocando il mondo da cui vuole essere accettato. E’ un artista, dice. Ma la sua casa non ci viene mostrata, perché tutto si svolge da Russel, in mezzo ad arredi e oggetti tutti rigorosamente di seconda mano. Modesti, come modesta sembra la vita di questo ragazzone di periferia, ripreso nel quotidiano: mentre fa il bagno, sceglie le scarpe  (quelle nuove riposte nella scatola prima di conoscere Glen e indossate invece per incontrarlo), mentre scalda qualcosa al forno.

L’altro arriva a scompigliare la normalità, con la pretesa di considerare ovvio ciò che invece è straordinario, cioè la ricerca di una confidenza fuori dal comune, della verità a tutti i costi, anche quella che nascondiamo a noi stessi. “Quando si sta per la prima volta con qualcuno si vede la propria immagine proiettata così come la vorremmo”, convengono; la sfida è quella di vedersi per quello che si è. Definirsi. Individuarsi. Forse perché Glen è davvero un artista, forse perché sa di dover partire per l’altra parte del mondo, o forse perché la sua precedente delusione amorosa lo ferisce ancora e vorrebbe nuovi legami, più autentici.

Dopo la forzatura iniziale, entrambi trovano una propria modalità nell’esserci, nello stare in in rapporto oltre modo sincero e appagante. A questo punto, come potrebbero essere scandalose le scene di sesso? C’è sì qualche battuta di dialogo parecchio  volgare, sempre da parte del disinibito Glen, ma non disturba; rientra in quel livello comunicativo insolito, che affascina e coinvolge lo spettatore. Certo è più facile aprirsi prima che le aspettative siano dichiarate, prima di esprimere le attese nei confronti della relazione, e in effetti Glen alza un po’ la voce, mette da parte la tenerezza quando vuole spiegare come e perché non si sente pronto per un legame fisso. Poi i due si affacciano alla finestra e si prendono per mano, in una scena struggente, che li vede guardare fuori, sempre dall’alto del quattordicesimo piano, uniti dopo un accenno di litigio.

E, comunque,  sono così belli questi due ragazzi che si scambiano tutto ciò che riescono, dalle carezze ai segreti, dai baci alle rivelazioni, in un affiatamento che emoziona, perché è un dono davvero raro. Resteranno insieme? Si separeranno? E il loro è amore, amore vero? Non sono proprio quesiti da poco, ma ciò che resta nello spettatore è la forza, il calore dei piccoli eventi che si snodano in queste poche stanze. Ecco perché non importa che i personaggi siano entrambi maschi,  perché quell’intimità è un po’ il sogno irraggiungibile di tanti.

Curioso che il regista sia lo stesso di 45 anni, che lo ha fatto conoscere in Italia. Come a dire che non bastano i decenni per conoscere chi ci sta accanto, ma sono sufficienti due giorni soltanto per sentirsi vicinissimi, quando lo si vuole davvero. Aveva ragione Truffaut quando diceva che “l’amore a prima vista è come vivere un secolo in un secondo?”.

Personalmente, avrei preferito che scorressero meno droga e meno alcool. Non per remore morali, ma perché se si vuole giocare di consapevolezza, sarebbe meglio essere liberi da qualunque forma di annebbiamento. Addirittura Russel non ricorda la prima notte; ne avverte il benessere, ma è parecchio immemore di ciò che è realmente accaduto. E se si considera quanto i due in due giorni scarsi hanno bevuto fumato sniffato, beh, l’abbandono all’altro perde un po’ del suo valore.

Come se bisogno paura e desiderio di amare, ambivalenze, inadeguatezze, fragilità possano trovare una loro voce attraverso lo stordimento della mente e dell’anima. E, a proposito di voce, per fortuna il film non è doppiato. La dolcezza e le risate, le premure e le provocazioni, quella verità che i personaggi perseguono è tutta degli attori, bravissimi, senza interferenze stranianti dall’esterno, senza barriere psicologiche interiori. Droghe e alcol a parte.

Margherita Fratantonio



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