Eccomi allo Starbucks dell’aeroporto di Istanbul, dopo quasi 2 settimane trascorse in Iran. Bevo il mio caffellatte formato maxi (ho preso il più piccolo che c’era!!) e penso a immagini, luoghi e situazioni di questo viaggio.
Magnifiche città ricche di tesori e paesaggi sconfinati hanno fatto da cornice ai giorni passati in questo paese insieme moderno e tradizionale. Sì, da cornice, perchè ciò che più mi ha colpito sono in realtà le persone! Tanti giovani (ma non solo), curiosi di sapere cosa c’è fuori dal loro mondo e cosa noi pensiamo di loro: se le romantiche Isfahan o Shiraz siano più belle della tanto inquinata e moderna Teheran, o se portare il velo mi dia fastidio o invece è sopportabile. Se abbiamo già assaggiato il dizi, e se abbiamo foto della nostra città o della nostra famiglia.
Ti salutano con un “Halloooo!!” gridato dalla bici, o un “Welcome to Iran”. I più audaci (e sono tanti) chiedono di scattare una foto insieme, naturalmente con smartphone e tablet di cui tutti sono regolarmente dotati.
Il wi-fi è ovunque e i più giovani ti lasciano il proprio contatto FB insieme al numero di telefono. “Chiamami per qualsiasi cosa, sono a tua disposizione” si raccomandano dopo appena 10 minuti di conversazione, anche se entrambi sappiamo bene che il giorno dopo sarò a centinaia di km di distanza, in un’altra magica città.
La gente ti ferma per sapere perchè hai scelto di visitare proprio l’Iran, ma anche per fare un po’ di esercizio in inglese; e quando hanno finito le frasi che conoscono, dopo averle ripetute anche un paio di volte (“You and your husband are really cute”) ti salutano con grandi sorrisi.
Li vedi passare e darsi di gomito alla vista di turisti, per poi tornare indietro, magari dopo essersi procurati un dolce tipico da farti assaggiare, tanto per avere una scusa per fermarti.
E poi…penso all’acqua delle fontane che zampilla da mattina a sera, nonostante i 40°C costanti di agosto. Ed ogni volta che si entrava in un giardino, era come passare dall’inferno al paradiso, dal caldo torrido all’ombra degli alberi… quasi una magia.
Penso all’arrivo a Shiraz, dopo 2 giorni nella caotica capitale. La tranquillità nonostante il traffico onnipresente, le casette sul fianco della collina, che ricordano un po’ Kabul; la tomba di Hafez, uno dei padri della poesia persiana, che ogni iraniano venera come un profeta. Si dice che ogni famiglia custodisca in casa, insieme al Corano, anche un suo libro di poesie, e che le sue parole siano fonte costante di ispirazione per ogni iraniano. Il parco costruito attorno al suo sarcofago è un luogo speciale, che trasmette pace e tranquillità, e dove persone di tutte le età si incontrano per trascorrere un po’ di tempo al fresco e in santa pace.
Penso alla tomba di Ciro il Grande, nella distesa semidesertica di Pasargade, col vento caldo che non dava tregua. Di fronte a quel monumento, tutto sommato abbastanza semplice, si percepisce la grandezza di un sovrano illuminato, che può essere considerato il padre dei diritti umani. Dopo la conquista di Babilonia infatti, Ciro liberò gli schiavi, dichiarò che ognuno aveva il diritto di scegliere la propria religione e stabilì l’uguaglianza tra le razze. Questi e altri decreti furono incisi su un cilindro di argilla cotta, nota oggi con il nome di Cilindro di Ciro, riconosciuto come il primo documento al mondo sui diritti umani.
Penso a Naqsh-e-Jahan, la piazza sconfinata di Isfahan (la seconda più grande al mondo!) che alla sera si anima di persone che fanno il picnic sull’erba dei giardini e si bagnano i piedi nella sua fontana. C’è chi ti invita a sederti per bere un tè, che ti tira la palla per giocare un po’ a calcio, forse per ricordare i tempi in cui, proprio lì, cavalli e cavalieri giocavano a polo per divertire lo Scià che si godeva lo spettacolo dal balcone del suo palazzo.
Penso alla mia incredulità di fronte alla pompa di benzina, la prima volta che abbiamo fatto rifornimento: 50 litri per 1.20 euro (l’acqua costa di più).
Penso alle perfette simmetrie delle cupole di palazzi e moschee, roba da rimanere incantati a osservare per ore, e penso anche alla birra analcolica, con l’immancabile scritta “0.0% alcohol” e il sapore di spuma bionda.
Penso allo stato di grazia in cui ho navigato per tutti e 12 i giorni trascorsi in questo paese, sognato e immaginato a lungo, per il quale non riesco a trovare un unico aggettivo.
“Probabilmente era così anche a Roma negli anni ’60, con i primi turisti americani” ci dice sorridendo il direttore dell’albergo di Teheran dove trascorriamo l’ultima notte, commentando l’aspetto più divertente di questo viaggio, il continuo contatto con le persone del posto. Sicuramente è così. Solo che a noi nessuno ha tentato di vendere la Fontana di Trevi, come Totò in Totòtruffa ’62. Al massimo hanno provato con un tappeto…
Insomma….Andate in Iran! Andateci prima che le persone si abituino alla presenza di stranieri (cosa che mi auguro accadrà, prima o poi, perché vorrà dire che finalmente il Paese si aprirà al turismo, e tutti coloro che lo desiderano potranno scoprire i tesori che custodisce). Perché sentirsi urlare per strada “Welcome to Iran” è una delle cose più belle che mi sia mai capitata!