Milano è in fermento. Siamo in piena Social media week, Fashion week e in quel di Paesello, per non essere da meno, questa settimana si è tenuta la prima edizione della Sopravvivi all’inserimento alla scuola materna week.
Ovviamente, poiché nessuno me lo ha chiesto, non ero in prima fila come reporter di punta nei primi due eventi.
Perciò, temo che dovrò necessariamente relazionarvi sul terzo.
Il primo giorno di scuola è andato piuttosto bene direi. Sarà che ormai da giorni la Marmocchia si cimentava in una sorta di training autogeno recitando come un mantra “Io vojo andale alla scuola matenna” – “È bello andale alla scuola matenna” – “Io sono glande e vado alla scuola matenna”. E complice l’autoconvincimento, trenta secondi dopo l’ingresso in classe, la nana si avvinghiava alla folletto giocattolo iniziando a passarla ossessivamente su e giù per l’aula. Il che dimostrava un’ottima capacità di ambientamento. Due ore dopo la riprendevamo un po’ perplessa ma complessivamente tranquilla.
“Domani ci torniamo?” chiedevo bluffando.
“Ba bè!” rispondeva la nana, lasciando molto alla libera interpretazione.
Il secondo giorno un piccolo magone la coglieva all’ingresso della scuola. Niente che una nuova seduta di training autogeno misto autoipnosi non avrebbe potuto sconfiggere: “Che bello andale alla scuola matenna” – “Tutti i bimbi vanno alla scuola matenna” – “Io vado alla classe vedde che è la più bella della scuola matenna”.
E vai di terzo giorno. Colazione abbondante, ci prepariamo con calma e via verso scuola. Suona la campanella, si entra. La Marmocchia si guarda intorno perplessa, valuta la situazione e… decide che incollarsi alla mia gamba stile cagnolino in ammore sia la soluzione migliore. Segue magone, singhiozzo, lacrimuccia e, infine, pianto a dirotto.
Finché arriva la nostra salvezza. La donna a cui stiamo affidando tre anni, 12 chili e 90 centimetri scarsi di Marmocchia, mettendo in poche parole le nostre vite nelle sue mani: la maestra Antonella.
Lei ha il piglio deciso e il sorriso sbilenco, un caschetto nero lucente e le forme da mamma. Prende in braccio la Marmocchia e inizia a cantare “Ci son due coccodrilli ed un orangotango..“. Ai Due Liocorni non si resiste: maestra 1 – crisi marmocchia 0.
Lascio la classe anche se la nana è ancora parecchio titubante. Potrei impiegare queste due ore in mille modi diversi.
Ma, senza deciderlo, mi ritrovo a vagare per le strade di Paesello, sconsolata e in apprensione.
Nel tempo che mi ci vuole a pormi l’intero kit di domande esistenziali che vanno da “Sono una buona madre?” a “È nato prima l’uovo o la gallina?” disegno mentalmente la mappatura delle strade che nel nostro paesino andrebbero quanto meno riasfaltate. E quando sto per dirmi che in fondo l’asilo è un’esperienza positiva e che la Marmocchia non potrà che trarne benefici, mi passano davanti, ridacchiando allegramente tra di loro, mamma e bambina molto più che quattrenne e decisamente in età scolare.
Un momento. Che ci fanno queste due a bighellonare in giro in orario di scuola?
E io? Che ci faccio qui senza Marmocchia? E la Marmocchia? Che ci fa all’asilo senza la sua mamma?
Ommioddio sono nel panico. Temo di aver sbagliato tutto. Avrei dovuto dar retta all’istinto e aspettare i sei anni (o i 18) prima di mandarla a scuola!
Cinque minuti dopo, settata in modalità maniaco, sono nascosta dietro ad una siepe e spio i bambini dell’asilo che giocano in giardino.
Qualcuno piange. Non è la mia. Molto bene.
Cerco di individuare la Marmocchia senza farmi vedere dalle maestre (che credo mi incenerirebbero).
Ma niente.
La campanella indica che è ora di tornare in classe. Le maestre iniziano a contare.
“Classe verde: 17 – 18… Quanti erano?” chiede un’insegnante. “19!” risponde gelida l’altra.
Ecco. Lo sapevo. Nove mesi di gravidanza, i dolori del parto, tre anni di fatiche e sacrifici… e me l’hanno persa!
Altra campanella. Si può entrare a riprendere i marmocchi.
Contrariamente a tutte le previsioni la nana è seduta accanto alla maestra.
C’è. Non è stata smarrita, rapita risucchiata da un buco nero e non è in lacrime. Non presenta contusioni, emorragie, né evidenti segni di traumi irreversibili. Almeno da un primo rapido esame.
Certo lo sguardo è truce e alla domanda “Com’è andata?” regna il mutismo.
Per ora, però, forse è il meglio che potevamo aspettarci.
E in tutto ciò c’è qualcuno che sta progettando il suo “giorno sabbatico” (lo so, lo so, si dice “anno sabbatico” e normalmente dura minimo 12 mesi in cui si gira il pianeta Terra alla ricerca di se stessi. Ma andiamo, sono una mamma, una decina d’ore di sabbaticità saranno più che sufficienti!).
E nelle ultime 24 ore che la separano dall’evento (atteso da mesi) sta cercando di respingere malocchio, tentativi di sabotaggio e attacchi di sfortuna acuti.
No, tanto per dirne una, tra le 21.25 e le 22.03 di oggi attendiamo che i frammenti del satellite NASA si schiantino al suolo in quel di Paesello…
Ce la farà la nostra eroina?