Cosa pensa veramente la gente del proprio patrimonio culturale? E’ la prima domanda che chiunque lavori nel settore dovrebbe porsi, prima di avviare qualsivoglia progetto. Ma viene posta raramente con le conseguenze devastanti che conosciamo. L’esempio che ci piace citare è il fantasmagorico ponte di Mostar che la comunità internazionale ha ricostruito perché simbolo dell’identità bosniaca e di una possibile riconciliazione, mentre per la gente è diventato il luogo che rinnova odii e conflitti mai sopiti. Ha prodotto un effetto opposto a quello previsto: una vera débacle della retorica buonista di cui ammantiamo i nostri monumenti.
I tempi però cambiano e le idee circolano, benché lentamente. Oggi persino all’
Unesco vige la parola d’ordine che bisogna agire in sintonia con le “comunità locali”. E noi provincia dell’impero cominciamo ad adeguarci: il
Ministero per i beni culturali ha da poco concluso
un’indagine via web per capire cosa gli italiani si attendono da un museo, con domande così generiche e contraddittorie che fatichiamo a comprenderne la reale utilità, ma ne attendiamo con curiosità i risultati. E’ partita poi dall’
Università IULM una ricerca sull’idea che gli italiani hanno del proprio patrimonio culturale, avviata anch’essa attraverso un
questionario: è sicuramente molto più puntuale di quello del Ministero, ma anche qui temiamo che le risposte conducano a risultati troppo generici. Perché bisogna parlar con la gente, per capire cosa vuole veramente. Bisogna essere antropologi, più che sociologi abbarbicati alle statistiche. Immaginiamo però che il questionario IULM sia solo una parte di una ricerca più ampia, di cui però il sito web non rivela né metodi né scopi. Anche qui attendiamo i risultati. E intanto ammiriamo estasiati i cittadini di
Finale Emilia che, come ha raccontato recentemente
Jenner Meletti su Repubblica, hanno pazientemente riunito nel cortile di una scuola elementare
25.000 mattoni della torre crollata col terremoto del maggio scorso, e contano di ricostruirla entro il prossimo anno per celebrare degnamente i suoi 800 anni di vita.
Intanto ne hanno appena inaugurata una in metallo provvisoria. I problemi sono molti da quelle parti, dove al terremoto si è sommata la crisi, ma nessuno pare voler rinunciare alla torre perché senza torre non c’è città. La torre dà forza a tutti e dà speranza, e fa sentire tutti uniti. Dicono che, una volta ricostruita, ne faranno un museo: noi speriamo che, dopo tanto patire e tante fatiche, non cedano alla fine all’antiquata retorica del monumento: facciano pure il museo, ma facciano anche suonare ogni giorno la loro campana.
Effe