Niente è tutto. E’ un coacervo di emozioni contraddittorie e potenti, di quelle che lasciano il segno nelle viscere e negli occhi velati di quella commozione che solo il cinema, quello vero, sa donare.
Niente
di Alessandro Porzio con Filippo Gili, Angela Curri, Vanessa Scalera. Italia 2014, 21′.
Produzione Zen .movie e Intergea
Una Famiglia italiana oggi. Un padre. Una madre. Un’unica figlia. Elena ha vent’anni, Mauro è un rivenditore d’auto in piena crisi. Anna è una semplice madre. Dentro una famiglia c’è tutto e niente.
Uno spaccato sociale taciuto dalla politica e non solo, perché l’amore non basta; perché questo è il mondo in cui viviamo e l’unico modo che abbiamo per combatterlo è abbattere il muro del silenzio, per non dimenticare che Niente non è (solo) fiction, è tratto da 643 storie vere che ora non fanno più notizia, ma sono vere, reali come i corpi degli attori che occupano la scena.
E quindi non meraviglia che la proiezione ufficiale in anteprima all’interno del Bif&st 2014 di sabato 5 aprile sia stata seguita da 30″ di silenzio assordante. E’ stato il silenzio della presa di coscienza, il silenzio che segue la poesia.
Non è solo la tematica di Niente a colpire lo spettatore. Il corto spicca per la perizia e la maturità tecnica che coinvolge tutte le componenti artistiche: la fotografia abbagliante di Dario Di Mella che fa da contrappunto al “nero” della storia, donandoci amorevoli inquadrature ristrette sui personaggi, come se la prossimità ai corpi potesse abbracciarli e proteggerli dal dramma, da quella voragine che si portano dentro. Le musiche di Stefano Ottomano sfiorano i personaggi, li cullano, sono la voce di coloro che non hanno più voce. Non ultime le interpretazioni: Angela Curri che lascia vivere Elena sulle sue guance e nei suoi occhi di ragazza non più bambina ma non ancora donna, alle prese con una vita che non ha scelto; e su tutti Filippo Gili che, stretto in un cappotto cammello come quello di Marlon Brando in Ultimo Tango a Parigi, porta addosso la stessa angoscia, la stessa inadeguatezza, il proprio lutto.
Ma Niente racchiude anche un seme di speranza in quell’augurio finale a essere liberi e non a essere felici, perché la felicità è fugace e mutevole, cambia faccia come la luna, è incostante e capricciosa. La libertà, di contro, è l’essenza della vita, l’essenza dell’io, la libertà di poter essere chiunque vogliamo essere.
- Alessandro, ti aspettavi quella reazione alla proiezione?
In realtà avevo la percezione che dovesse un po’ andare così. Non mi aspettavo tutto quel silenzio alla fine, ma è stato comunque un silenzio di riflessione tutto sommato. Ci fosse stato un applauso finale, avrei quasi pensato che la gente stesse liquidando quel messaggio, no? Quasi per distrarsi da ciò che era il film. Invece il fatto che ci sia stato il silenzio credo sia una delle più grandi vittorie che io potessi avere in anteprima.
- Era un silenzio bello carico…
Non era un silenzio di quelli vuoti, era un silenzio pieno, come se la gente stesse facendo altro, non stesse solamente in silenzio. La cosa bellissima è che si è percepita davvero addosso, quasi come fosse caduto un masso enorme nel cinema e qualcosa ti spingeva ancor più sulla sedia, ancor più delle immagini; è stato il dopo a spingermi ancora più sulla sedia comoda del Galleria.
- Nella precedente intervista non avevamo parlato approfonditamente di Niente. Da dove nasce lo spunto della storia, a parte il mero fatto di cronaca?
In realtà non riesco tutt’ora a capire quanto si possa essere indifferenti ai temi che quotidianamente ci deambulano intorno, perché il cinema, a partire dal corto a finire al kolossal, credo che sia una delle più importanti e rapide fonti di informazione per la gente. Non è detto che un film deve necessariamente informare; un film può anche distrarre, può anche far sognare, ma credo che l’informazione sia anche presente nei sogni, c’è sempre qualcosa di “scolastico” anche nel film di fantascienza. E allora visto che mi ci trovo molto bene, riflessione e Porzio vanno tipo a braccetto…
- Riflessione è il tuo secondo nome…
Riflessione è il mio secondo nome! Era una cosa che mi toccava da davvero tantissimo tempo. Niente è la storia di un Paese che sta vivendo una guerra interna. Questa è una guerra civile senza armi.
- E’ una guerra tra poveri.
Non c’è differenza che io ammazzi te e tu ammazzi me. Ci ammazziamo tutti e due da soli, quindi non abbiamo più bisogno nemmeno delle armi. C’è un colpevole, ma è un colpevole che non ha una faccia per il momento e questo non sapere chi ti terrorizza fa ancora più paura.
- Cocteau diceva che il cinema è “la morte al lavoro”. Niente esorcizza la morte a suo modo con un atto d’amore, nonostante “l’amore non basta”…credi che sia davvero così o a volte l’amore potrebbe bastare?
L’amore è la più alta e nobile forma di illusione a cui l’uomo si è abituato da solo, quindi sono forse consapevole che, se l’ho scritto, vuol dire che non ci credo. Delle volte non basta… Davvero.