“Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforti, e tra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.
Incrocino aeroplani lamentosi lassù
e scrivano sul cielo il messaggio Lui E’ Morto,
allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,
i vigili mettano guanti di tela nera.”
W.H. Auden, Funeral Blues
i Meteors in un'esibizione assieme a Gianni Morandi
Mi chiamo Naima perchè piaceva a mio padre. E’ uno dei brani simbolo della musica jazz, un po’ come Nel blu dipinto di blu per la musica italiana, o Le feuilles mortes per i francesi. Nessuno però la suona mai, nessuno dei musicisti che sono andata a sentire in tutti questi anni, forse perchè è difficile e hanno tutti paura di sbagliare, o di rovinarla, o per una sorta di rispetto, come se fosse qualcosa di intoccabile, di sacro. Mio padre la musica la viveva così, come se fosse viva, una persona in carne e ossa, una dea da idolatrare. Faceva parte della sua vita ed è stato fortunato, in un certo senso, perchè è riuscito a trasformare una passione in una vera professione che gli ha dato gioie e dolori, ma soprattutto un patrimonio di esperienze, aneddoti, avventure al limite del reale che anche adesso, adesso che non c’è più, vivono in noi, che siamo la sua famiglia e che le abbiamo ascoltate e riascoltate in mille versioni. Come quella volta con i Meteors che appena arrivati a Roma gli sono stati rubati il furgoncino con tutti gli strumenti, davanti all’ Rca, o quando hanno dormito tre giorni consecutivi nella stanza d’albergo a causa dell’annullamento di una data. Le risate con i colleghi orchestrali, P.G. Farina, H. Gualdi, l’amico Marzio “Macho” Vincenzi, autore di innumerevoli scherzi, col quale si è subito instaurato un feeling particolare, dalla sera del concerto di Thelonious Monk.
Louis "Satchmo" Armstrong
Mio padre amava fare la musica che piaceva a lui, non per diventare famoso, nemmeno per “andare a maccheroni”, ma perchè la musica era la sua vita. Il jazz esasperato, freddo, troppo cerebrale a volte, ma anche quello caldo, delicato, sussurrato come solo Chet Baker sapeva fare. A qualcuno piace caldo, direbbe Billy Wilder, e a qualcuno, come mio padre, la musica piaceva tutta, quella dei maestri brasiliani, in particolare quella di Antonio Carlos Jobim, di Astrud Gilberto, di Elis Regina e Gilberto Gil, interpreti di brani intrisi di poesia che appartengono alla mia infanzia, e che tante volte, da piccolissima, hanno avuto la funzione di ninna nanna. Per una come me cresciuta con certa musica è difficile, ora, pensare di poter andare avanti senza i suoi insegnamenti, i suoi consigli, la sua ironia, il suo modo di vivere sempre sopra le righe, come in una favola, come se la vita andasse sempre assaporata in ogni suo aspetto, cercando di non perdere nulla di quel buono che potesse offrirgli.