When the Saints Go Marching In

Da Naimasco78

“Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,

fate tacere il cane con un osso succulento,

chiudete i pianoforti, e tra un rullio smorzato

portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

Incrocino aeroplani lamentosi lassù

e scrivano sul cielo il messaggio Lui E’ Morto,

allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,

i vigili mettano guanti di tela nera.”

W.H. Auden, Funeral Blues

i Meteors in un'esibizione assieme a Gianni Morandi

Mi chiamo Naima perchè piaceva a mio padre. E’ uno dei brani simbolo della musica jazz, un po’ come Nel blu dipinto di blu per la musica italiana, o Le feuilles mortes per i francesi. Nessuno però la suona mai, nessuno dei musicisti che sono andata a sentire in tutti questi anni, forse perchè è difficile e hanno tutti paura di sbagliare, o di rovinarla, o per una sorta di rispetto, come se fosse qualcosa di intoccabile, di sacro. Mio padre la musica la viveva così, come se fosse viva, una persona in carne e ossa, una dea da idolatrare. Faceva parte della sua vita ed è stato fortunato, in un certo senso, perchè è riuscito a trasformare una passione in una vera professione che gli ha dato gioie e dolori, ma soprattutto un patrimonio di esperienze, aneddoti, avventure al limite del reale che anche adesso, adesso che non c’è più, vivono in noi, che siamo la sua famiglia e che le abbiamo ascoltate e riascoltate in mille versioni. Come quella volta con i Meteors che appena arrivati a Roma gli sono stati rubati il furgoncino con tutti gli strumenti, davanti all’ Rca, o quando hanno dormito tre giorni consecutivi nella stanza d’albergo a causa dell’annullamento di una data. Le risate con i colleghi orchestrali, P.G. Farina, H. Gualdi, l’amico Marzio “Macho” Vincenzi, autore di innumerevoli scherzi, col quale si è subito instaurato un feeling particolare, dalla sera del concerto di Thelonious Monk.

Louis "Satchmo" Armstrong

Mio padre amava fare la musica che piaceva a lui, non per diventare famoso, nemmeno per “andare a maccheroni”, ma perchè la musica era la sua vita. Il jazz esasperato, freddo, troppo cerebrale a volte, ma anche quello caldo, delicato, sussurrato come solo Chet Baker sapeva fare. A qualcuno piace caldo, direbbe Billy Wilder, e a qualcuno, come mio padre, la musica piaceva tutta, quella dei maestri brasiliani, in particolare quella di Antonio Carlos Jobim, di Astrud Gilberto, di Elis Regina e Gilberto Gil, interpreti di brani intrisi di poesia che appartengono alla mia infanzia, e che tante volte, da piccolissima, hanno avuto la funzione di ninna nanna. Per una come me cresciuta con certa musica è difficile, ora, pensare di poter andare avanti senza i suoi insegnamenti, i suoi consigli, la sua ironia, il suo modo di vivere sempre sopra le righe, come in una favola, come se la vita andasse sempre assaporata in ogni suo aspetto, cercando di non perdere nulla di quel buono che potesse offrirgli.

Somigliava ad Adriano Celentano, da giovane, mio padre, ma non ha mai sfruttato questa caratteristica. Avrebbe potuto sfondare, all’epoca, come alter ego del Molleggiato, in una delle sue trasmissioni surreali, ma a lui non interessava la televisione, era troppo terrorizzato di dover abbandonare la sua musica per prediligerne l’aspetto commerciale, più “gettonato”. Con il rock si viveva, all’epoca; gli orchestrali che popolavano la Bologna degli anni ’70, la Bologna degli anni d’oro, suonavano anche tutta sera per un piatto di tortellini. L’importante era suonare, divertirsi, vivere la vita notturna con quel sapore un po’ bohemien, che allora potevano permettersi, da biassanot. Ed ecco che qui, tra la Cantina Bentivoglio e l’Osteria dello Scorpione, sono nate le leggende, i miti, le mirabolanti avventure che il suo amico e collega Jimmy Villotti ha raccontato nei suoi libri ma anche durante le esibizioni dell’ orchestra Ritmica Tangenziale e i suoi Raccordi, una delle sue ultime performance dal vivo. Alcune storie hanno davvero dell’incredibile, forse perchè non riusciamo più ad immaginare che un tempo, anche solo fino a trent’anni fa, si potesse vivere così, in totale spensieratezza, con quella leggerezza tipica di chi si accontentava di poco, di chi non aveva come obiettivo quello di riempire il portafoglio, ma quello di divertire e divertirsi solo con la musica. E così tra un’avventura con I Meteors e un’altra con la Big Baboon Band è arrivato alla fine della sua storia, mio padre, il 3 aprile 2011, un giorno prima di festeggiare 47 anni di matrimonio, o forse all’inizio di un’altra, straordinaria avventura assieme agli amici orchestrali che ci hanno lasciati prima di lui. Forse non ha neanche apprezzato il funerale in chiesa, magari avrebbe preferito una cerimonia all’americana, come a New Orleans, accompagnato da una marching band e un coro gospel. Gli americani hanno swing, mi diceva sempre, anche quando muoiono. Mi piace immaginarlo così, tra i grandi mostri sacri del jazz, mentre prova My Funny Valentine, felice più che mai, col suo Fender mentre parla con Charlie Parker, che finalmente ha potuto incontrare.

Si chiamava Ciro, mio padre. Ciro dei Meteors, come lo conoscevano tutti.



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