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Credo che nessuno possa mettere in discussione il valore e l'importanza che i Doors e Jim Morrison hanno avuto nel panorama musicale e nel fermento culturale degli anni della rivolta contro il Vietnam e la società laccata degli anni cinquanta negli Stati Uniti e non solo: con tutti i suoi difetti, Morrison rappresenta ancora oggi una delle icone più importanti che possano attraversare la vita e l'esperienza di ogni nuovo consumatore di rock, e di musica in generale, a prescindere dalla sua età.Un mito bruciato troppo in fretta, un genio dello showbiz, un attore o uno sciamano - a seconda di come lo si guardi - nato, un ragazzo pronto a giocarsi tutto nella rivolta ad una famiglia che intuì troppo tardi il suo potenziale, ma che, probabilmente, fu indirettamente la scintilla che fece scoppiare l'incendio che furono gli indimenticabili dischi dei Doors.Ma una cosa è Jim Morrison, l'altra When you're strange.Che non è male, ma non è male proprio grazie alla presenza salvifica delle canzoni del gruppo californiano e dei filmati che ritraggono il backstage e le registrazioni dei loro album, ispirazione anche del non limpidissimo biopic firmato Oliver Stone di qualche anno fa.Se si escludono, infatti, i filmati di repertorio, la parte prettamente documentaristica lascia molto a desiderare, e l'intero lavoro pare orchestrato per essere una sorta di omaggio in stile special di Mtv senza alcun approfondimento o intervista come si converrebbe, e se per il pubblico a digiuno di Morrison e soci può anche apparire affascinante, i fan della band non potranno affatto non notare la quasi completa assenza di retroscena sulla vita dei membri del gruppo e la superficialità dell'intera operazione, che pare essere incentrata più sugli accenni ai singoli episodi che non sugli episodi stessi, e pare aggravarsi quando, a fare da collante tra una sequenza e l'altra, vediamo comparire uno pseudo Jim in viaggio nel deserto, quasi fosse uno sciamano che ha lasciato la società come la intendiamo noi, e vivo e vegeto vaga senza meta lungo quelle autostrade polverose a dispensare visioni e saggezza neanche fosse il Reno Raines di Renegade.Il tutto cercando di tacere a proposito della pessima versione italiana, protagonista della quale troviamo uno scatenato Morgan, che raccoglie il testimone di Johnny Depp - narratore dell'edizione originale - divertendosi evidentemente come un matto ad enfatizzare ogni singola parola con una fastidiosissima inflessione da radical chic che "lui si che ne sa perchè conosce i tormenti delle rockstar e voi altri poveri stronzi che state qui ad ascoltare non valete una beata fava" meritevole solo e soltanto di una cascata di bottigliate dritte sul grugno.Fortunatamente, a far dimenticare allo spettatore la poca consistenza in qualità di documentario di questo lavoro di DiCillo e la cadenza di Marco Castoldi ci pensano i signori Morrison, Manzarek, Densmore e Krieger, in arte The Doors: a distanza di quaranta e passa anni, la loro musica resta una nuova frontiera, e pezzi come The end o Light my fire colpiscono dritte al cuore, spalancano ancora le porte della percezione - con o senza usi e abusi - e corrono dritte come il più travolgente dei brividi lungo tutta la spina dorsale fin dentro il cervello ed i sogni.E anche in quel caso non ci sono dubbi: i Doors fanno ancora sognare.
MrFord
"You know that it would be untrue
you know that I would be a liar
if I was to say to you
girl, we couldn't get much higher
come on baby, light my fire
come on baby, light my fire."
The Doors - "Light my fire" -
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