Kara-Lis Coverdale è canadese (madre estone) e ha 28-29 anni. Il suo background è classico, ha studiato piano ed è – lo scrive il Guardian – organista e direttrice del coro in una piccola chiesa luterana di Montreal. Si è laureata scrivendo una tesi dal titolo “Sound, Rhetoric, and the Fallacy of Fidelity in Recorded Popular Music: Toward a Critical Approach to Timbral Analysis”, centocinquanta-duecento pagine disponibili in rete che forse potrebbero dirci qualcosa sulle sue idee, ancora da decifrare per bene, non conservatrici e non religiose strictu sensu.
La prima volta che ho sentito il suo nome è stata nel 2013, quando Tim Hecker ha pubblicato Virgins, nel quale lei suonava le “tastiere” (la troveremo di nuovo con lui nell’imminente Love Streams per 4AD). Interessante notare che in Aftertouches, l’album che ha messo Coverdale sotto i riflettori, ci sia come in Virgins un frequente passaggio in una direzione e nell’altra tra digitale e musica classica, in un continuo giocare con la percezione, lasciando a volte quasi “nude” le sorgenti sonore, un elemento di novità nel mondo heckeriano, di solito sempre trasfigurato dal laptop. La compositrice, fatta salva l’importanza pratica ed estetica del computer, può assomigliargli, ma non è un clone del suo connazionale: in Aftertouches utilizza archi, fiati, piano e quant’altro appartenga al mondo della “tradizione”, mescolando di continuo – ma sempre con grazia – realtà e “virtuale”, due poli di cui – a suo dire – mal sopporta la distanza, tanto che questo sembra essere uno dei motori della sua creatività, al pari della ricerca di contaminazione tra linguaggi. Importante la presenza di cori femminili (e maschili), ispirati – sostiene lei – anche dalla tradizione baltica e probabilmente causa principale della dicitura “post-sacro” attaccata ai suoi lavori, che non saprei se considerare spirituali. Di sicuro, però, spesso smaterializzati/smaterializzanti.
Coverdale è comunque attratta dalla voce: la sua cassetta A 480 del 2014 per Constellation Tatsu la filtra in un modo molto simile a quello che si può ascoltare su Quique dei Seefeel e sul celebre remix operato dagli Autechre, del quale questo lavoro breve sembra quasi una serie di variazioni sul tema. La collaborazione con LXV (David Sutton), uscita sempre nel 2015 per Umor Rex, si intitola dunque Sirens non per caso: il richiamo mortale di queste creature s’intreccia tramite software con flauti e scampanellii, field recordings e drone, formando un caleidoscopio ancora una volta in grado di sfasare la percezione. I due autori, che hanno collaborato a distanza e usato YouTube per trovare le fonti dei loro campionamenti, in un’intervista parlano di oscillazione fra tranquillità e violenza nascosta dietro una situazione apparentemente idillica (chiedete a Ulisse). A me la seconda sembra davvero tanto nascosta nell’album, a meno che l’accumulo sporadico – ma stordente – di suoni non sia una forma di aggressività, il che sarebbe pure legittimo.
Kara-Lis Coverdale passa in Italia questo sabato, a Torino (Superbudda), magari qualcuno riuscirà ad afferrare qualcosa in più di me su questa mistica dell’era digitale. Per essere affascinante, è affascinante.
Articoli constellation tatsu, kara-lis coverdale, sacred phrases, umor rex