La musica del duo australiano uomo-donna non esprime nulla di particolarmente nuovo, punto. Messa da parte questa dichiarazione più che programmatica, c’è però da registrare un fatto: acchiappa di brutto, ha il continuo vigore dell’anthem a tutti i costi ed esprime il proprio amore incondizionato per Siouxie And The Banshees, Cure e compagnia ‘80, lasciando in disparte con coraggio il dark patinato e in odor di ultimi Nine Inch Nails tipico di Zola Jesus (non è poco). Due pezzi su tutti ci hanno conquistati: l’attacco wave di “Holiday”, tutto un rapido fluire di stilemi chitarristici neri come la pece, mai però troppo appesantiti: insomma, c’è il vero sentimento dark-rock ma non il belletto, caratteristica vituperata da sempre, almeno da chi scrive. Poi ci imbattiamo in un piccolo capolavoro di scrittura, “Waves”: pure questa, niente di nuovo sotto il sole (che del resto non c’è), ma suonata nel modo giusto e in grado di ripetere talmente bene il canovaccio che sembra davvero di stare sotto il cielo plumbeo di una periferia albionica di trent’anni fa. Basta solo aggiungere che la canzone è stata un piccolo e piacevole tormentone che ha chiuso degnamente questa lunga estate del 2012.
Heat è dunque un disco (ep in vinile editato dall’attenta etichetta bolognese Avant! Records) che fa il suo dovere senza chiedere poi chissà cosa. Unico appunto che ci sentiamo di fare ai ragazzi (il maschietto non è nuovo a cose del genere, visto che suona negli Slug Guts, giro Sacred Bones) è soltanto quello di variare un pelo di più la formula di base, che è sì bella ed efficace, ma alla lunga può risultare un poco stucchevole (si intravede la luce soltanto nella traccia di chiusura, più articolata e minacciosa del solito).
Le carte in regola per farsi notare ci sono tutte.
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