Linh, Rudy, Johan e Sebastien sono quattro ragazzi affetti in varie forme da quello che la diagnostica liquida come “ritardo mentale”, affidando alle varie scienze la cura o l’internamento. Dal 2007 hanno messo la freccia per superare il “problema” e in compagnia di due coraggiosi musicisti del Belgio fanno dischi a nome Wild Classical Music Ensemble.
Non starò certo qui a menarvela col falso pietismo con cui lo showbiz ha spesso dilavato le vicende (alterne) dei vari outsider e freak, rendendo visibile soltanto l’aspetto della extravaganza, ovverosia quanto incomprensibile fosse certa musica fatta da certa gente, punto. Cadendo nella rete del “sistema”, quello che tratta i “matti” come pedine da internare, l’industria dello spettacolo si è spesso appropriata delle energie spurie coltivate nel profondo di quelle menti, costruendo categorie specifiche dove inserirle come “prodotto in vendita”. Questo caso è diverso: qui la “mancanza” diventa un’arma creativa insuperabile, spinge la musica dove non potranno mai le menti cosiddette “normali”, ha incredibilmente un suo focus, e può collocarsi ancora più a lato delle cosiddette “musiche dei margini”.
The Wild Classical Musical Ensemble è un supergruppo di picchiatelli che rivoltano la musicoterapia dentro il jazz libero fino alle porte di una forma di rock senza freni inibitori. E il nuovo disco su Born Bad, Tapping is Clapping, dopo l’esordio per l’incredibile Sub Rosa, è pura serotonina rinchiusa in un peluche tanto tenero quanto pieno di spine. Provateci voi a fare canzoni semplicemente per spurgare il marcio che sta chiuso in fondo in fondo. La voce di Linh ora è controllata senza sedazione, e può persino dirsi che a tratti si riconosca una qualche forma di “canto”, ma mi avevano già abbondantemente stregato i vocalizzi barbari del disco d’esordio, figuriamoci…
Alzando il volume puoi sentire il loro dolore che si libera man mano che la musica incalza. Le voci e i suoni schiaffeggiano la crudeltà di essere “diversi” meglio che con qualsiasi trattamento e fotografano una condizione senza filtri mentali, scientifici o sociali. Ne resta un viaggio intimo e bruciante che fonde tutte le musiche “altre” con un tratto ormai personalissimo. Non si scherza: a volte sembra di sentire Jac Berrocal in vacanza con un gruppetto di mattacchioni rapiti dal rock, si ascoltino “Enquête Policière” o “Hawai”, oppure il latrato marcio di “Pussy Junky”, che sembra ripescato da un sermone dei Catalogue dopo un pieno di beaujolais (stessa area linguistica, stessa vena “sperimentale” a ruota libera); in altri casi partono pure degli scat come li avrebbero pensati gli Heliocentrics se fossero diventati pazzi (l’hip hop in opposition di “Les Indiens”). Poi ci sono soffi, strappi, colpi, funghi champignon, gite in barca e la bellezza di sparare a mille un amplificatore insieme ai propri simili. Il caos del mondo di dentro diventa parola che deve tragicamente uscire così per significare, pura urgenza narrativa non intossicata da qualsivoglia mediazione. Attenzione, però: la musicoterapia comunque c’entra minimamente se consideriamo la qualità complessiva del lavoro finito; oltre a godere della musica (se avete orecchie libere da paranoie) e a farvi pure due risate, ascoltando questo album potrete riflettere per davvero sulle parole di Franco Basaglia, che afferma in “Che Cos’è La Psichiatria?”, datate 1967 ma ancora tristemente attuali: La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere. Perché i manicomi possano chiudere e si facciano cento dischi così ogni anno. Tanto per iniziare.
Tracklist
01. Slowy
02. De Werkers
03. Koppig
04. Enquête Policière
05. Brothers In Civil War
06. Les Indiens
07. De Wind
08. Soufflé
09. Tapping
10. Lindsy
11. Hawai
12. Pussy Junky
13. Democracy
14. Champignon
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