Will Hunting di Gus Van Sant

Creato il 18 agosto 2014 da Spaceoddity
Will Hunting (Matt Damon) ha vent'anni e una fedina penale già parecchio compromessa. Vive la sua vita con Chuckie (Ben Affleck), Morgan (Casey Affleck) e Billy (Cole Hauser), ma ha un'intelligenza fuori dal comune. Fa le pulizie in un importantissimo centro di scienze e, di nascosto, risolve problemi di matematica insormontabili per i suoi coetanei che hanno intrapreso quegli studi. Viene notato perciò dal prof. Gerald Lambeau (Stellan Skarsgård) che lo prende a cuore, notando il suo genio pressoché unico. Will finisce in carcere, ma il professore non si arrende, si assume la responsabilità della sua riabilitazione e si incarica di seguirne gli studi e di far seguire il giovanotto da uno psicologo. I primi tentativi sono fallimentari, in quanto il ragazzo è molto più intelligente dei suoi analisti molto - troppo - accademici e chiusi di fronti al suo mondo interiore. Così Lambeau ricorre a Sean Maguire (Robin Williams), vecchio amico dal quale è stato separato da divergenze personali. L'approccio più "scamiciato" di questa nuova persona apre una breccia nella vita problematica di Will e nel suo rapporto epidermico con Skylar (Minnie Driver); ma soprattutto, naturalmente, cambia la vita a entrambi e rimette in discussione perfino il rapporto tra lo psicologo e il professore di matematica.

Will Hunting, genio ribelle (1997, tit. or. Good Will Hunting) di Gus Van Sant, va detto subito, è un film che non brilla nel delineare situazioni nuove o rapporti inediti, specie nel cinema americano, intriso di una forte matrice pedagogica. Tuttavia, se si mettono da parte l'estrema prevedibilità della trama - aggravata da un cast che da solo orienta la visione - e il tono un po' troppo sentimentale atto a commuovere a ogni costo, Will Hunting di Gus Van Sant è anche un film ben scritto, se si considera (tra l'altro) che ne sono autori gli stessi Damon e Affleck. I dialoghi sono costruiti con il giusto ritmo, sono ben bilanciati per un pubblico di massa in termini di vocaboli, espressioni gergali e questioni accademiche, così come gli scenari sono capaci di definire orizzonti autonomi e, se non ben contestualizzati, comunque ben inquadrati. D'altra parte, quel che è più importante, Will Hunting offre diversi spunti di riflessione ancora validi che vale la pena scoprire da sé e che sarebbe un peccato perdersi, a prescindere dalle soluzioni "popolari" che dominano la scena.
In particolare, mi sembra interessante la differenza di piani su cui operano da un lato il prof. Gerald Lambeau e, con lui, il circuito accademico, e dall'altro lato Will Hunting e i suoi amici. Tutti i personaggi portano con sé un vissuto di sofferenza, un passato del quale sono responsabili, anche se non colpevoli: è così, è la loro storia e, per quanto tentino di chiudere le porte e gli spifferi a quella strada, ogni tanto devono voltarsi a guardare. Per conto suo, Will sceglie il suo presente sostituendo all'esperienza la memorizzazione maniacale di libri di ogni tipo, da Shakespeare alla storia degli U.S.A. Il giovane prova a farsi un passato che sia comune ad altri o che sia competitivo rispetto a quello altrui; ma cammina anch'egli, come tutti, con una memoria di sé e del mondo. Lambeau, invece, è ansiosamente proiettato al futuro, ignora i valori del ragazzo e vede in Will solo delle potenzialità: il recupero del ragazzo è un fatto burocratico, un passaggio giuridico che gli consentirà legalmente di sviluppare il suo genio. Il prof. Lambeau non è neanche troppo egoista, sa di essere un talent scout più che un Pigmalione ed è convinto del bene che può fare, ma l'intelligenza di Will è uno strumento al servizio della matematica e delle sue più svariate applicazioni.
Semmai, dunque, Lambeau è disonesto con se stesso e ciò si palesa nel confronto con Maguire: lo psicologo, il professionista fuori dal coro, l'uomo continua a vivere nella devota memoria della moglie morta, continua a essere se stesso, continua a guardare al ragazzo. Non c'è, in lui, il meccanicismo balordo dei "traumi infantili", così come questi vengono volgarizzati nel più vasto e incauto repertorio di battute quotidiane: Sean Maguire guarda sempre e soltanto alla persona e ha una prospettiva armoniosa del suo sviluppo nel tempo. Non è un dotto e non vuole esserlo, ha letto molto, ma preferisce stare con i suoi pazienti e costruire un dialogo con loro. Nella sceneggiatura su questo aspetto c'è forse un problema di fondo, se si considera che Will sembra essere l'unico in cura da lui, a prescindere dalle agende troppo piene: mi sembra, in sostanza, che si sia voluto evidenziare troppo l'esclusività di questo rapporto, il suo carattere definitivo, e ciò nuoce ulteriormente alla riuscita di un film che sembra "a tesi". Però, se appena si torna al soggetto della pellicola, cioè il ragazzo problematico e geniale, il lavoro di Sean Maguire su Will Hunting colpisce per la dedizione che l'adulto riserva al giovane, per la maturità con la quale tratta "la grazia" di Will Hunting, senza demonizzarla, ma senza idolatrarla.
Will Hunting di Gus Van Sant va preso per quello che è: non aspira a descrivere ambienti, non ha ambizioni sociologiche. Semmai, è un film di caratteri e di personaggi, un film che ha molta voglia di parlare e di far parlare le persone di vita, di doni che si ricevono e di futuro da progettare, da contrattare con (o da rubare a) noi stessi. E su questo mi sembra che sia un titolo più che riuscito e davvero capace di mettere a segno diversi colpi.

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