Cosa ho imparato dai suoi romanzi sull’amore, l’amicizia e le cose davvero importanti
Quando William Deresiewicz, all’età di ventisette anni, scopre Jane Austen, è un giovane presuntuoso, sentimentalmente immaturo e persuaso che quei «romanzetti da femmine» non facciano di certo per lui. Pochi mesi dopo è un uomo trasformato: nelle pagine dei romanzi austeniani, infatti, scopre un mondo di verità e valori universali e impara a considerare la vita e i rapporti con le persone che lo circondano in chiave completamente diversa; impara a vivere intensamente e veramente. Emma gli insegna a «prestare attenzione alle piccole cose di ogni giorno»; grazie a Orgoglio e pregiudizio si accorge che, ebbene sì, «nessuno nasce perfetto»; L’abbazia di Northanger lo mette in guardia dal rischio di «dare per scontato ciò che si ha»; seguendo le peripezie dei protagonisti di Mansfield Park capisce che divertimento non è sinonimo di felicità; scopre il vero valore dell’amicizia leggendo Persuasione; e infine, accompagnato da Ragione e sentimento, impara che amare significa crescere insieme.
Questa è la commovente storia di un uomo che scopre Jane Austen, se ne innamora perdutamente e, grazie a lei, incontra la donna della sua vita. Storia di un’educazione sentimentale; percorso di crescita e di scoperta di sé e degli altri, attraverso le pagine dei sei romanzi austeniani.
Vi giuro che è un libro meno stupido di quello che sembra. Anzi, non lo è per niente. Ultimamente sono usciti tantissimi libri su/con Jane Austen. Alcuni hanno Darcy come protagonista, altri hanno proprio la mia amata Jane in persona a condurre la storia, altri sono proseguimenti più o meno fantasiosi dei romanzi classici dell’autrice inglese. Perché? Eh, intanto perché la Jane, ridendo e scherzando, nel corso degli anni è rimasta, e non c’avrebbe scommesso nessuno. E poi perché negli anni tutti si sono dannati a scrivere di grandi passioni, di grandi amori, nessuno invece ha parlato di relazioni come ha fatto lei, con ironia, sagacia, acume. Ah beh certo, Jane Austen ha inventato Darcy, l’uomo ideale di mezzo mondo (ma facciamo pure tre quarti), l’uomo perfetto, e solo per questo andrebbe rispettata a prescindere. Magari c’è anche il fascino del passato, di un’epoca con regole e convenzioni sociali che ora non ci sono più e che magari ci mancano, perché aiutavano un bel po’, se qualcuno ti dice come fare una cosa ti semplifica la vita, invece ora stai ore e ore a domandarti se lo devi chiamare e balle varie, no no per carità.
Ho scritto che non è un libro stupido. Sì perché lo sembra eh, parliamoci chiaro. Dal titolo sembra una guida new age un po’ del cazzo, come ne prosperano tante in questo orrido momento per la letteratura. La copertina non aiuta. Comunque il titolo è così anche nell’originale, compreso il sottotitolo, quindi ok. Magari c’era l’intenzione di farlo sembrare una guida new age un po’ del cazzo perché tirano parecchio. In ogni caso, no, non è una guida new age un po’ del cazzo. No, non c’è Jane Austen che dà consigli saggi su quando telefonare a un uomo o sul tipo di brughiera da scegliere per meditare. Anzi, è un libro con una forte componente autobiografica: l’autore parla di sé, della sua vita, e di come è un po’ cambiata scoprendo la mia amata Jane. Eh sì, perché c’è una massiccia dose di scetticismo e di pregiudizio (con pure tanto orgoglio) quando si ha a che fare con lei. E’ un’autrice per sole donne, per zitelle anzi, è una che non sapeva nulla perché non è mai stata da nessuna parte, quindi cosa vuoi che ne sappia lei della vita (ciao Salgari ciao), e poi la letteratura inglese ha raggiunto vette cooooosì alte nell’Ottocento, per non parlare del Novecento, che vorrai mica perdere tempo con la Austen no? Io Jane Austen credo di averla studiata solo un po’ al liceo, stop. All’università ho fatto tre letterature inglesi e mai mai mai mai mai nemmeno nominata. L’ho nominata io durante un esame, perché non sopportavo di dover parlare dell’Ottocento senza menzionarla. Il mondo fa un po’ schifo anche per questo, non trovate? Però, contro ogni pronostico e pure contro ogni (mal)augurio, i romanzi della Austen sono sopravvissuti (tièèèèèèè beccatevi questa critici di stacippa) e dopo quasi 200 anni ancora stiamo qua a leggerli, a farci film, serie tv, a scriverci romanzi corollari e compagnia bella.
Pure l’autore del romanzo faceva parte di questa massa di miscredenti. Poi, per obbligo più che per piacere, la deve affrontare. Non puoi diventare professore se non ti cucchi tutta la Jane. Chepppalle pensa lui, mi devo leggere i romanzi di una tizia che poi non insegnerò perché era solo una zitella che scriveva per altre zitelle. E invece, guarda caso, la legge (miracolo! Le cose bisogna leggerle per giudicarle in modo sensato!) e se ne innamora, ma non solo; capisce che i romanzi della Austen sono ricchissimi di sfumature e di assennatezza, che c’aveva visto molto lungo e che non sono solo giovani ragazzine inglese, balli, scapoli rampanti e via così. E ne parla in modo sensato, con esempi letterari, con disamine strettamente legate ai romanzi. Ne escono riflessioni interessanti, non sempre condivisibili e a volte un po’ tirate per i capelli, va detto, ma onore al merito. Il libro ha il pregio di riscattare la Austen non solo perché è scritto da un uomo ma anche, soprattutto, perché lascia perdere tutte le scemate sulla sua vita, va oltre l’aspetto puramente biografico (che ormai pare una barzelletta) e si concentra sui romanzi, lo fa sul serio e, guarda un po’, ne esce il ritratto di un’autrice meravigliosa, ricca, intelligente, mai banale che merita di restare. Perché tutti si ostinano a considerare una povera scemotta una scrittrice che ben 200 anni fa (200 esatti l’anno prossimo) ha creato l’uomo che molte di noi considerano perfetto. Non è una domanda, è una constatazione.