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Wim Wenders – Ritorno alla vita

Creato il 17 settembre 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
Wim Wenders - Ritorno alla vitaplay video
  • Anno: 2015
  • Durata: 100'
  • Distribuzione: Teodora Film
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Germania, Canada, Norvegia, Francia, Svezia
  • Regia: Wim Wenders
  • Data di uscita: 24-September-2015

Arriva nella sale italiane dal 24 Settembre Wim Wenders – Ritorno alla vita, ultima opera del maestro tedesco.

Sinossi: Il film racconta dodici anni nella vita di Tomas, uno scrittore americano in piena crisi creativa: la sua relazione con Sara, una ragazza dolce e convenzionale che poco capisce del suo mondo interiore; quella con l’editrice Ann e sua figlia Mina; il difficile rapporto con la scrittura, il successo critico e il riconoscimento intellettuale; il legame misterioso e indissolubile con la bellissima Kate, giovane madre di due bambini che vive negli spazi sconfinati del lago Ontario.

Recensione: Il cinema è capace di mettere al sicuro l’esistenza delle cose: così il teorico ungherese degli anni venti, Béla Balàzas, si esprimeva  a proposito della funzione del cinema, e Wim Wenders fa sua questa lezione, cercando, in un’epoca di proliferazione di immagini spazzatura, di preservare e costruire quelle che riescono ancora a dare consistenza ad un reale sempre più evanescente. L’utilizzo del 3D (che chi scrive non ama particolarmente) è, in questo senso, atto a donare un maggiore ‘spessore’ alle immagini, caricandole di un’emotività che eviti loro di scivolare nel desolante flatus vocis dell’immagine sub specie spaectaculi. Si nota nell’ultimo film del regista tedesco un’attenzione maniacale alla costruzione delle inquadrature, alla scelta delle location, alla direzione degli attori, che si producono in performance estremamente calibrate, contenute. Tutta la materia emotiva della storia rappresentata passa attraverso un lavoro di riduzione che consente alla storia stessa di non cadere mai nel melò, piuttosto di provocare nello spettatore una profonda riflessione sulla dinamica dei rapporti interpersonali tra i vari personaggi, e, più in generale, un processo di auto analisi.

Wim Wenders si chiede, da artista qual è, quanto si possano utilizzare le vicende umane che ci gravitano intorno ai fini creativi, e, nella fattispecie, è il dolore per la perdita di un figlio, causato da un incidente automobilistico provocato dal protagonista, a costituire la condizione preliminare per il suo sviluppo umano e artistico. Esemplare, in tal senso, la sequenza in cui il fratello della vittima, Christopher, divenuto adulto, incontra Tomas (James Franco) e gli fa notare come i suoi libri siano migliorati dopo il tragico avvenimento. Una spinosissima questione quella sollevata, dunque, che ci convoca a una riflessione sull’arte, su tutto ciò che ne costituisce la fonte d’ispirazione e sui processi di metabolizzazione dei contenuti. Ecco perché Tomas dopo la richiesta di incontro di Christopher esita platealmente, temendo di dover riconoscere di aver assunto un atteggiamento parassitario nei confronti  di una vicenda umana che invece avrebbe richiesto il più assoluto riserbo e una silenziosa meditazione. Assistiamo a dodici anni della vita del protagonista in cui si alternano tre figure femminili assai differenti che accompagnano la sua evoluzione interiore (tra le altre, anche Charlotte Gainsbourg che, stavolta, diretta da Wim Wenders non svetta, rimanendo un personaggio volutamente sottotono), e siamo al tempo stesso spettatori del suo processo di imborghesimento (lo vediamo passare dalla casetta di legno dell’inizio del film a una super tecnologica villa minimalista in cui decide di formare una famiglia con l’ultima compagna).

L’attenzione dello spettatore è, in alcuni passaggi, messa a dura prova, ma ciò e dovuto ad una volontà precisa dell’autore che, attraverso la dilatazione dei tempi, doveva riuscire a trasmettere il faticoso tentativo di interiorizzazione del protagonista, con tutti gli effetti collaterali da esso prodotti. C’è un alone di mistero su Tomas che, come tutti gli scrittori coinvolti nel delicato processo di trasformazione della realtà in linguaggio, non rende mai gli altri partecipi dell’andamento del suo lavoro. Nonostante la scarsità di dialoghi nella sceneggiatura, lo spettatore è reso comunque partecipe, nel migliore dei modi, dei movimenti emotivi del protagonista, e di tale risultato non si può non fare un plauso a Wim Wenders che, in questa occasione, ha messo in scena uno script di Bjorn Olaf Johannessen, che si rivela un promettente autore.

Dopo i due straordinari documentari, Pina e Il sale della terra, dunque, Wim wenders torna alla fiction, pur mantenendo un solido legame con la realtà, e lo fa convincendo e dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, la sua statura di maestro.

Luca Biscontini

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