Andiamo al Cinema
Ci sono infiniti modi per reagire al dolore.
C'è chi si chiude in se stesso, chi annienta ricordi e sensazioni con gli eccessi, chi ne parla, chi trova supporto negli altri, e mille altri ancora.
Wim Wenders cerca di mostrarcene alcuni nel suo ritorno alla finzione dopo averci raccontato la vita di Pina Bausch e di Sebastiao Salgado, analizzando e sezionando un dolore che non solo può essere affrontato in modi diversi, ma può anche attaccare diverse persone.
Tutto ha inizio in una neve bianca e candida, che si fa unico colpevole nell'incidente che vede Tomas investire Christopher e il fratello.
La morte di quest'ultimo, che resta in disparte, non si vede, avrà conseguenze diverse per Tomas stesso, per il piccolo Christopher e per la madre Kate. Ma anche per Sara, la fidanzata di Tomas, per suo padre, creando una spirale in espansione che verrà colpita da questo dolore, da questa morte in cui un vero colpevole, se non un destino beffardo, non c'è.
E così seguiamo questa elaborazione del lutto che dura anni, che passa attraverso più fasi, dalla negazione alla rabbia, fino a un'insperabile pace.
Se Tomas cerca prima di annebbiarsi e dimenticare tra droghe e alcool fino a un tentato suicidio, farà poi perno sulle emozioni che l'incidente ha fatto scattare in lui per il suo lavoro di scrittore, trovando una nuova ispirazione, un nuovo stile più maturo che lo porterà al successo.
Kate reagirà invece in modo diverso, cercando conforto nella fede e nelle preghiere, non trovando quel successo o quell'ispirazione nonostante un lavoro altrettanto artistico e creativo come illustratrice.
Attorno a loro, un caos che deve trovare il suo ordine: Sara non sarà capace di capire Tomas, di farsi amare o di amarlo, finendone più volte ferita, Christopher nel silenzio e nei sensi di colpa, crescerà instabile, problematico, solo, alla ricerca di un confronto, di una verità, che solo con pazienza e coraggio potrà arrivare.
È un percorso lungo e intricato quello che Wenders ci invita a percorrere, un percorso in cui i suoi protagonisti avanzano nel tempo senza veramente avanzare, li vediamo, li seguiamo per 11 anni entrando però difficilmente in contatto con loro.
Ed è questo il primo problema di Ritorno alla Vita, che va a pari passo con una lentezza del ritmo -soprattutto nella prima parte- che stanca e che non crea quell'empatia necessaria, né per il corrucciato James Franco né per la fredda Charlotte Gainsbourg né per la bellissima e illuminante ma quasi relegata in disparte Rachel McAdams.
Stilisticamente elegante, con movimenti di macchina raffinati e fluidi e una fotografia che va ad inquadrare i protagonisti al loro meglio, il film manca di una sostanza che temi come il lutto, il dolore e il senso di colpa già di per sé hanno, elevandosi invece nelle riflessioni tutte artistiche dell'ispirazione, del cambiamento, con un unico semplice istante in grado di aprire nuove porte, nuove idee, nuove vite.
Ci si assopisce, quasi, ci si annoia, fino a un cambiamento, a una rottura che rimette in moto non solo la trama ma anche la colonna sonora DOC, con un sapore quasi da thriller che si insinua e fa pensare al peggio.
Il peggio non avviene, però, e sembra quasi un peccato, perchè Ritorno alla Vita fa tornare alla vita i suoi protagonisti, ce li fa vedere alla fine della loro guarigione finalmente avvenuta, senza però averne sentito davvero le ferite.
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