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Creato il 01 dicembre 2011 da Albertogallo

WIN WIN (Usa 2011)

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Questo film è stato presentato in anteprima per l’Italia al XXIX Torino Film Festival, dove è in concorso nella sezione principale Torino 29.

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Win win (in italiano Mosse vincenti) è l’opera terza di Thomas McCarthy, regista diventato abbastanza celebre qualche anno fa con L’ospite inatteso, il cui dvd è a casa mia che attende di essere visto; e altrove sul web si parla molto bene (posizione confermata dal direttore Gianni Amelio in persona prima della proiezione) pure del debutto registico di questo attore, The station agent. In ogni modo so di che tratta a grandi linee L’ospite inatteso. E Win win, per tematiche, gli si avvicina parecchio.

Il film è grazioso e ha una confezione da film americano classico. Ambientato nella provincia americana (una piccola cittadina del New Jersey), narra le vicende di Mike, un avvocato “pilastro della comunità”, alle prese con piccoli casi di anziani abitanti sul lavoro, una famiglia con due bambine piccole e una squadra adolescenziale di lotta libera (disciplina praticata anche dal regista) di cui è allenatore. Un “normale” uomo qualunque dagli alterni successi: se infatti la famiglia è solida e felice, un inaspettato attacco d’ansia durante una corsa porta lo spettatore all’interno delle ombre della sua vita.

Sono diversi i motivi per cui il film è bello e merita di essere visto. Il primo è legato al cast. Paul Giamatti è un beniamino dei cinefili o per lo meno di quelli legati a un certo tipo di cinema indipendente ma non troppo, fatto di facce e corpi semplici, quotidiani, se si vuole anche vagamente nevrotici. Se è vero che ha partecipato anche a film ad alto budget (Cinderella man, The illusionist e il più recente La versione di Barney), la maschera nella quale ha dato il meglio di sé è stata quella dello scrittore fallito in Sideways. Sempre parlando di cast, devo riconoscere che mi ha fatto un certo piacere anche la scelta di rispolverare un’altra maschera “indie”, diventata celebre con Rocky quando la saga era ancora soltanto un semplice film su un pugile sfigato scritto da un promettente autore italoamericano. Sto parlando di Burt Young, qui nella parte di un vecchio ricco e demente.
Il secondo aspetto per cui il film di McCarthy va visto è la scrittura: la sceneggiatura è solida e le deviazioni narrative, se fino a un certo punto sembrano andare chissà dove, alla fine tornano tutte. Mike, infatti, ha grossi problemi economici, e appena si trova tra le mani un ricco cliente bisognoso di tutela legale (Young) decide di prenderne su di sé la tutela, incassandone l’assegno. Vista questa premessa il film poteva prendere la facile strada della commedia amara, raccontando gli equivoci e le mosse per tenere nascosto il suo inganno alla famiglia, diventando una specie di Il nostro agente all’Avana declinato nella provincia americana. Tutto questo sistema segreto di inganni, invece, viene quasi accantonato, perché in questa vicenda se ne inserisce un’altra: l’apparizione del nipote dell’anziano ricco.

Biondo platinato, di poche parole, apparentemente ribelle e taciturno, un po’ punk e un po’ emo, il quindicenne Kyle ha però un dono: è bravissimo nella lotta libera. Per non rovinare l’effetto sorpresa e non svelare troppo della trama si potrebbe usare, nel descrivere Kyle, la felice espressione utilizzata da Paolo Sorrentino in un’intervista per descrivere il suo Cheyenne: “Un personaggio che, ovunque vada, porta la felicità”. E così è anche qua, dato che dalla lotta libera e dai successi della squadra di Mike passano i riscatti di Mike, del suo amico Terry e dello stesso Kyle, che per un po’ assaggia una vita migliore di quella che ha vissuto finora.
Nel film c’è poi un altro ritorno inaspettato, lo svelamento dell’inganno di Mike, una serie di tradimenti e i soliti buoni sentimenti. Ingredienti di ogni film hollywoodiano classico che si rispetti e che portano a una conclusione che solo apparentemente è quella “giusta”, consolatoria: il finale di Win win è doppio e piuttosto amaro, e ci ricorda il periodo di grave crisi economica che stiamo vivendo noi tutti e che gli Usa hanno vissuto prima di noi, coinvolgendo anche la sonnacchiosa provincia.

Se si volesse trovare a tutti i costi un messaggio in questo film, presumibilmente sarebbe quello di perseguire la propria felicità personale con tutti i mezzi emotivi che abbiamo a disposizione, anche costruendo famiglie allargate basate più sui sentimenti che sull’effettivo mantenimento economico. Un messaggio, questo, abbastanza rivoluzionario.

Marcello Ferrara



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