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Gaetano Gaziano, nato nel 1940, è di Agrigento. Ha partecipato al quinto concorso letterario di Villa Petriolo “Wine on the road” col racconto “Il vino di don Giovanni”.
Racconto “Il vino di don Giovanni” di Gaetano Gaziano
Peggio di così non mi potevano trattare il signor Mozart e il signor Da Ponte: dipinto come un mariolo e sprofondato all’inferno con tutti i vestiti. La mia unica preoccupazione sarebbe stata, per loro, quella di “farmi” le belle damine del mio tempo. Di infoltire il “catalogo” che teneva il mio servo, quel birbante di Leporello.
E chi lo nega? In effetti sono stato un libertino. E me ne vanto! Ma nell’accezione più nobile del termine. Io, infatti, sposai in toto la filosofia del libertinismo, che vuol dire insofferenza a tutte le regole imposte dall’alto. Libertà totalizzante, dunque. Prima tra tutte, quella in campo sessuale.
Sono stato il primo, autentico predicatore del libero amore, anticipando i tempi di diversi secoli. E ne sono stato un vero e convinto attuatore e ambasciatore. La mia fama ha travalicato quella dello stesso Mozart, perennemente afflitto dal complesso di Edipo, e del suo librettista. Quest’ultimo, poi, Lorenzo Da Ponte, ve lo raccomando. Era un furbo! Un convertito al cattolicesimo per opportunismo.
Quando Mozart gli chiese un libretto da musicare, non gli parve vero. Tirò fuori dal cassetto il dramma “El burlador de Sevilla” del signor Tirso De Molina, intriso dei più beceri principi gesuitici della Controriforma, e ha creato, con Mozart, questo “grande” capolavoro del “don Giovanni”. E chiamalo capolavoro...
Mi hanno trattato come un mostro, un fatuo bellimbusto, ossessionato dal sesso. Verità distorta! Perché sono uno che ama l'arte, la musica, la bellezza in generale e, quindi, anche le belle donne. Lasciate che sia io, don Giovanni, a raccontarvi ora come sono andati realmente i fatti, per averli vissuti in prima persona.
Occorre cominciare dall’inizio della storia. Siamo al primo atto dell’opera. Io me ne sto a corteggiare (ricordate?) la bella Zerlina, procace e avvenente contadinotta promessa sposa a quello zotico di Masetto. Le propongo di seguirmi nel mio casino di campagna, sussurrando: “Là ci darem la mano, là mi dirai di sì”. Lei esita. Oppone una debole resistenza: “Vorrei e non vorrei mi trema un poco il cor”. Insisto: “Vieni mio bel diletto. Io cangerò tua sorte”. Alla fine cede e, mano nella mano, ci avviamo al nido d’amore, cantando: “Andiam, andiam mio bene a ristorar le pene d’ un innocente amor”.
A questo punto, secondo gli “illustrissimi” autori, interviene donna Elvira, una mia vecchia conquista, sedotta e abbandonata (come tutte le altre del resto), che interrompe il nostro idillio e manda all’aria l’ultima mia avventura. Quindi, per loro, sarei andato in bianco. Sciocchezze! Niente di più falso. A me, se permettete a don Giovanni, una cosa simile non è mai successa.
Ed ecco il seguito. Quello vero. Zerlina e io, presi da focosa passione, ci avviamo nel mio casino di campagna, e lì trascorriamo dei momenti indimenticabili. Che notte, ragazzi! Il mio casino è costantemente attrezzato per le mie improvvise incursioni galanti. Non manca mai niente alla bisogna. Soprattutto il vino. C’è sempre una buona scorta di “eccellente marzimino”. Il vino che io, a detta degli “illustrissimi” autori, avrei dovuto offrire, nel secondo atto, al Commendatore da me invitato a cena. Ma vi sembro proprio il tipo da sprecare un vino così nobile, come il marzimino, per un “convitato di pietra”? Vi dico io l’uso che ne ho fatto. Quattro bottiglie ne abbiamo scolato, Zerlinuccia e io, in quella notte da sballo, tra un amplesso e l’altro. Vino e amore vanno straordinariamente a braccetto. Credetemi: sono l’essenza della vita! Una sola espressione vera mi hanno attribuito gli “illustrissimi” autori: è quando, nel secondo atto, inneggio: “Vivan le femmine, viva il buon vino, sostegno e gloria dell’umanità”. In ciò, almeno, non si sbagliarono. Questa, amici miei, è in conclusione la vera e autentica versione dei fatti. Parola di don Giovanni!
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