Magazine Cucina
Giulia Messina ha lavorato tra le città di Milano, Palermo e Roma, all’interno delle aree marketing, comunicazione e commerciale. E’ adesso in cerca di una nuova occupazione. Nutre da sempre una sviscerata passione per la lettura e per la scrittura, che usa sia per arrotondare, collaborando per la rubrica arte cultura e spettacolo della rivista enogastronomica Enos, sia come diletto personale.
Per “Wine on the road”, concorso letterario 2011 di Villa Petriolo, ha scritto il racconto “Un viaggio”. Buona lettura!
Racconto“Un viaggio” di Giulia Messina
Eppure lei lo conosceva bene, di questo ne era certa. Il nome non lo ricordava, forse sforzandosi le sarebbe venuto in mente, ma solo dopo un po’: aveva bisogno di tempo. E di calma. Si accomiatò con un sorriso dai suoi commensali e uscì dalla stanza fumosa e schiamazzante, dirigendosi verso il balcone: di certo l’aria fresca della sera l’avrebbe aiutata a ricordare.
Le sensazioni si imprimono nell’anima come i colori sulla tela di un pittore e disegnano emozioni che ritornano alla mente per stupire, quando meno te l’aspetti. Chi assapora le cose inevitabilmente ne rimane stregato e non ha alternativa: se le porta dietro, se le porta dentro. Si impigliano dappertutto e sembrano così difficili da addomesticare, da ricondurre alla ragione. Si rintanano negli occhi e diventano ombre, nel volto e si fanno rughe. Bisogna solo avere pazienza. Rincorrere un ricordo conosciuto che sfugge è come cadere in acqua. Il primo impatto è lo smarrimento, un bagno di sensazioni in un mondo nuovo eppure da sempre conosciuto, che frastorna, cui abituarsi piano. Senti solo il cuore che batte, tum tum, il tuo cuore che batte. Poi si prende il ritmo e piano si cominciano ad intravedere i contorni, a distinguere delle figure nette.
Chiuse gli occhi, il bicchiere ancora in mano. Aprì piano la bocca, dischiudendo le labbra e riaccostandole appena, assaporando un bacio cui rimaneva un gusto solo suo, lontanissimo. Il viso proteso in avanti, come chi sente una melodia lontana, che stenta a riconoscere. Cominciava a ricordare. Vide un verde guizzate e spazi che ben conosceva, paesaggi che continuano, non finiscono, si confondono, dove i limiti sono disegnati dai colori, lasciando agli occhi il lusso di perdersi.
Chiazze esplose come una cancrena, come un’allergia, infestavano di pustole d’oro o di smeraldo i fianchi scuri di un rilievo altissimo: una mucca enorme dai colori fantastici che giaceva pigra, stagliandosi in un contrasto orgoglioso verso il cielo. Non una casa all’orizzonte, ogni tanto un pastore e tre pecore tre.
Un brivido di freddo le ripercorse la schiena. Sentì il cielo grattarle la testa, quando nevica e si fa basso, e poi si riempie di grigi perenni. Percepì sul viso il tepore della luce, quando trova spazio tra le nuvole e illumina la terra da uno squarcio di cielo umido, con un raggio che sa di divino.
Rivide la roccia corvina sbriciolarsi in sabbia grossa, nera, mescolandosi alla terra gravida e all’acqua calcarea. La sentì riscaldarsi e, liquefacendosi ribollente, evaporare fumando, confondendosi col cielo. La immaginò esplodere ancora, portando altra terra, altra roccia bruna, altro tutto. Deserti di pietra, di lava, di sabbia nera, diventavano mare, mare piatto, distese di vigne gravide e gonfie, boschi di castagni, piante di pistacchio, querce, pioppi, balzi di ruscelli azzurri e poi verdissimi, torrenti a perdifiato.
Ricordò il verde brillare, nelle sue più diverse sfumature, coagularsi scuro e intenso tra le piante, farsi pallido e tenero nei germogli, gonfiandosi nei grappoli e divenire giallo o rosso sangue. Rivide quel velo di polvere, un grigio timido, matto nell’ombra, che abbraccia i frutti e colora la vigna d’argento, di bianco, confondendosi con la luce a volte, scintillando col sole.
Vide un volto, dall’espressione placida, con la faccia abbronzata e gli occhi di luce. Mani che hanno una storia da raccontare, appendici di una montagna saggia, vivente. L’uomo-montagna disegnava cerchi con le mani, come abbracci, camminando per il saliscendi di sentieri assolati, ordinati. Riconobbe un vigneto dai grappoli turgidi che l’uomo-montagna dal sorriso dolce raccontava abbracciando, come si fa con le cose preziose, come un’arpa. Ne coglieva il frutto, lo spezzava piano e portandolo alla bocca con due mani, in comunione, lo mangiava, svelandone pazientemente i segreti.
Quando Cosimo la raggiunse aveva ancora gli occhi chiusi e un sorriso di bambina stampato sulla faccia. Stringeva in pugno, come un trofeo, il bicchiere ormai vuoto di Carricante dell’Etna in purezza. Ginestra, continuava a ripetere, Ginestra.
Fine
(del racconto)
Il viaggio continua…
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