Gianni Mario Molteni ci racconta di sé:
“Comasco, vivo a Milano da 50 anni.
Scrivo per conoscermi. Di recente, spinto da amici - i miei “25 lettori” - ho partecipato ad alcuni Concorsi: 2010 Premio “Poeti e Scrittori in Lombardia” : 1°; 2011 : Premio “Poeti e Scrittori in Lombardia” : 1°; Premio “Parole… sull’acqua” 1°; Premio “Antonio Fogazzaro”: 1°.
Con diligenza ma minor passione rispetto ai racconti, ho scritto un libro di management e uno di storia: Manager in affitto, Franco Angeli, 1997, Civiltà Cooperativa, Cooperativa il Raccolto, 2010”.
Buona lettura del racconto cin cui Gianni Mario Molteni ha partecipato al concorso letterario di Villa Petriolo edizione 2011!
Racconto “Mezzogiorno di fuoco” di Gianni Mario Molteni
Se dietro il campanile non si fosse intravisto il nuraghe, avresti creduto di essere nella Hadleyville di Mezzogiorno di fuoco. E se quel mezzogiorno di luglio Zinnemann fosse passato di lì, certamente gli avrebbe preso voglia di girare un remake.
A quell’ora il sole cuoceva il Sulcis e, come a Hadleyville, anche a Sant’Anna Arresi ogni via era deserta. Ma, come lo sceriffo Kane, avvertivi che il paese ti stava scrutando da dietro gli scuri. Scrutava me spaesato che non sapevo che la brezza del mare e la spiaggia bianca erano poco più in basso, dopo la macchia di Porto Pino.
Me lo spiegò al bar uno di lì. E parlando smorfiò di disappunto. Era colpa del sindaco e di tre o quattro suoi compari se il paese era così; la speculazione immobiliare seguitava a mordere terra e paesaggio; i giovani non avevano né sangue né lavoro e molti anziani, venduti i terreni, se ne erano andati a tramontare a Cagliari. Lui invece, lo disse con orgoglio, i terreni li aveva tenuti.
- Mi pare che in Sardegna ogni cosa che inizia degeneri o resti a metà - dissi pensando al turismo e all’industria. - Perché non se ne va anche lei? -.
- Perché qui sono nato. Non puoi scegliere dove nascere, ma dove nasci devi metter radici. Anche se è terra magra -.
Era passato da poco mezzogiorno quando lo salutai. Mi rispose con un cenno del capo. Nel tardo pomeriggio lo rividi fuori dal bar. Con un gesto secco della mano, da un brano d’orizzonte tra le case m’indicò un edificio distante, disteso bianco ai piedi della collina, di fronte al mare.
- Non tutto quello che qui inizia resta a metà. Qualcosa radica e cresce - disse asciutto. - E’ una nuova cantina. Ci vada -.
Non ero lì per andar per cantine, ma al mare. Però il suo tono tassativo quasi mi costrinse a chiedergli di indicarmi la strada. Scendere quella asfaltata per un paio di chilometri, prendere a sinistra un viottolo sterrato, in fondo iniziava il vigneto che saliva fino alla cantina. Ma mi trattenne per un braccio indicandomi la chiesa: stava uscendo un funerale. Dopo feretro e prete, un uomo alto dal passo grintoso, e dietro di lui un lungo corteo di donne, minuscole e vestite di nero.
- E’ quello il sindaco - mi disse.
Nei tratti mi ricordò Miller, il bandito che nel film vuole uccidere lo sceriffo. “Se ci fosse riuscito”, pensai mentre il corteo funebre passava, “questo sarebbe stato il funerale della Legge”. Ma l’accozzaglia edile che avevo intorno mi fece capire che a Sant’Anna Arresi la Legge era stata sepolta da tempo.
Arrivato all’inizio dello sterrato, dovetti fermarmi. Da dietro un canneto sbucava un altro corteo, lunghissimo, questa volta di pecore, le mammelle gonfie da scoppiare. E subito dopo il gregge, una 500 sfatta orba di un fanale, guidata a passo di pecora da un figuro massiccio che mi scrutò con occhi aguzzati. “Che sia un altro compare di Miller in ritardo sull’appuntamento di mezzogiorno?” ironizzai sulla mia immaginazione mentre riprendevo a salire verso la cantina.
Il suo profilo disteso comparve appena sopra il vigneto. Il verde scuro dei lecci che vestiva la collina e i filari ramati che declinavano a mare con le righe rosse dell’argilla incorniciavano la facciata candida, decorata per metà con disegni di arazzi sardi. Candida, tranne il portale nero e le grandi vetrate azzurro scuro, specchio del mare all’imbrunire. Erano passate da poco le 19.
Sul piazzale c’era solo un’automobile. Forse era tardi. Ma volevo appagare la mia curiosità, ora aumentata dall’eterodossa architettura della cantina. Ricordavo quelle trentine e altoatesine, ben diverse da questa che, chissà perché, mi portava a pensare a un’eterodossa basilica orizzontale disegnata da Le Corbusier con l’aggiunta di una buona dose di minimalismo.
Il silenzio intorno però mi lasciava poche speranze. Suonai lo stesso al citofono confidando almeno in una voce. Invece venne ad aprire una donna giovane, snella, dall’aria frizzante.
- Benvenuto, si accomodi - disse.
- Scusi l’orario - ma proprio qui sotto mi ha fermato un gregge -.
- Capita spesso, in questi mesi dell’anno è sempre da ‘ste parti. Dietro al gregge c’era una 500 scassata, vero? -.
- Sì, e dentro un uomo che mi ha fulminato con gli occhi -.
Sorrise accompagnandomi verso il banco di degustazione. - E’ il proprietario del gregge - spiegò. - Continua a fare il pastore, benché da queste parti abbia ancora molti terreni dopo averne venduti un po’ a un gruppo immobiliare. Ci hanno fatto un villaggio turistico, appena sopra Porto Pino -.
Poi, quasi confidenziale, aggiunse: - E’ una persona strana. Pensi, tiene sempre con sé tutti i soldi che ha, anche quelli della vendita dei terreni, se li porta in giro col gregge come fossero pecore. Un giorno la Guardia di Finanza lo ha rintracciato in un prato dalle parti di Giba per notificargli una multa salata, pare per irregolarità nella vendita. In paese dicono, ma forse è un’esagerazione, che ha tirato subito fuori dal giubbotto due rotoli di banconote di grosso taglio insistendo per pagarla in contanti direttamente ai finanzieri -.
Parlava leggera come pennellando ad acquerello e benevola verso il pastore. Voleva forse convincermi che non era un compare di Miller? E mentre raccontava si dimostrò anche efficiente. In poco tempo preparò bottiglie e bicchieri sul banco di degustazione.
Assaggiai vini ai quali, non essendo poeta, non avrei saputo dare quei nomi. E che, pur non essendo un intenditore, trovai intriganti come la giovane donna e la cantina. E tutti in bottiglie più nere del nero. Come le donne del funerale.
- Vogliamo che il vino parli del territorio dando emozioni - disse con garbo.
Professionale ma non smaccata, pensai si occupasse di marketing. Glielo chiesi.
- No, di contabilità -.
Peccato, certamente sprecata per partita doppia e bilanci. Le chiesi ancora: - Lei però non è sarda, non raddoppia le consonanti -.
- Sì, sono lombarda, di Monza. E trentino mio marito, l’enologo -.
Stavo per dirle che non sempre si mettono radici dove si nasce. Ma i vini appena degustati mi distolsero dalle mie solite velleità pseudosociologiche. - Allora scommetto che proprio perché non è sarda sa dove qui intorno si mangia bene con questi vini -.
M’indicò una decina di ristoranti tra Carloforte e Teulada e i loro piatti forti. - Ma anche in paese c’è un posto buono - aggiunse. - Si chiama Lavori in corso -.
La ringraziai: - Ripasserò di qui per darle un feed-back - aggiunsi sperando che da cosa nascesse cosa.
- Non si disturbi, sulla business card c’è il mio indirizzo e-mail. E per ordinare i vini, c’è il sito internet -. Marcando le parole inglesi, mi fece capire che la mia era speranza vana.
Andai a cena a Lavori in corso. La porta flippava come quelle del saloon e il viso della cameriera era bello e diafano come quello di Grace Kelly, la sposa dello sceriffo. Dopo cena presi una decisione radicale: niente mare; entroterra di giorno, Lavori in corso di sera. Per cibo e vino. E cameriera, che forse non conosceva l’inglese.
In quattro giorni combinai scavi di Nora con uova di quaglia sode, chiesa romanica di Tratalias con culurgiones, nuraghi di Seruci con scorfano in guazzetto, archeologia
mineraria con ricotta di capra col miele. E ogni sera una bottiglia di poesia. Per rinnovare le emozioni, e anche sognare la cameriera.
La sera prima di partire, un bicchiere di Buio Buio mi diede invece tristezza. A differenza di quella dello sceriffo Kane mentre lasciava Hadleyville, la mia era per le cose che avevo iniziato e lasciato a metà. Come se il giorno finisse a mezzogiorno.