Il personaggio, l’uomo-simbolo, della 65° Berlinale è stato Wim Wenders. Insignito dell’Orso d’Oro alla Carriera e con un film in concorso, “Every Thing will be fine” (opera che ha avuto un numero record di anteprime), ha trovato il tempo di trascorrere qualche ora con il pubblico di ammiratori, studenti e curiosi, accorso a “Wings of time”, l’evento organizzato dalla 13° edizione di Berlinale Talents.
È gioco forza quindi che il Festival gli abbia dedicato una retrospettiva (ora in viaggio verso il MOMA di New York) e fa piacere apprendere che anche in Italia, grazie a Ripley’s Film e Nexo Digital, tornino su grande schermo due suoi capolavori, quali “The American Friend” e Paris, Texas” (sul sito tutti i dettagli). E, dato che l’omaggio tricolore parte oggi, abbiamo deciso di dedicare qualche riga al regista, prendendo spunto proprio dall’incontro berlinese.
Wim Wenders © Michelle Iwema for MaSeDomani
Quieto, sorridente, disponibile, Wenders ha ripercorso con noi la sua carriera, spiegando il legame speciale che ha con i luoghi in cui ambienta le sue pellicole, l’amore che nutre per gli oggetti in movimento, il suo avvicinamento al 3D e il motivo di un uso talvolta controcorrente. E, ancora, ha condiviso aneddoti legati a opere più o meno recenti e non ha lesinato consigli ai giovani presenti all’evento e pronti a sferrare domande talvolta da veri nerd.
Ma procediamo con ordine…
Wim Wenders ha quarant’anni di cinema sulle spalle, i suoi lavori sono conosciuti mondialmente, ha vinto di tutto (dalla Palmarès a Cannes al Leone a Venezia, solo per cintarne alcuni) ed è uno degli esponenti di riferimento del cosiddetto Nuovo Cinema Tedesco. Cosa lo contraddistingue? Il movimento, i luoghi, la musica, lo stile. Non stupisce quindi scoprire che abbia la necessità di sentirsi in sintonia con il luogo in cui decide di girare un film e che in “The Million Dollar Hotel” solo dopo aver scoperto la location abbia pensato a quale storia ambientarvi.
Appare altrettanto ovvio che un uomo così aperto e curioso si sia avvicinato al 3D e ora non abbia intenzione di rinunciarvi (la sua nuova pellicola – drammatica – ne è la dimostrazione). Il motivo? È un’opportunità troppo ghiotta. Questa tecnologia porta a galla tutto ciò che a prima vista sfuggirebbe, ingigantisce i dettagli e impone al cast di arrivare sul set con una preparazione superiore alla media, perché le correzioni in fase di post-produzione sono impossibili. Se sbagli si vede e ogni emozione, smorfia, risata imprevista viene registrata. Una bella sfida per tutti
james Franco © Michelle Iwema for MaSeDomani
Menzionare il set apre spesso le porte agli aneddoti e, anche questa volta, siamo stati accontentati: James Franco è un uomo di cultura, riflessivo e molto professionale, insomma, pare essere un attore ideale. Non lo stesso di può dire di Dennis Hopper, un osso duro che, troppo assorbito da “Apocalypse Now”, non riuscì subito ad entrare in sintonia con il Ripley di Wenders.
Chiudiamo con un paio di curiosità legate a una grande alleata del regista (sin dal primo corto), la musica. Lo sapevate che l’albergo di “Million Dollar Hotel” è famoso grazie agli U2? Ci girarono il video di “Where the streets have non name” e la successiva colonna sonora è solo il coronamento di un progetto nato proprio grazie a Bono. Mentre il corredo musicale di “Untill the end of the world”, fatto da una parata di stelle (tra cui Lou Reed, i Depeche Mode, Nick Cave, i REM, gli U2 etc.), è stato commissionato sulla base di una inconsueta domanda: scrivere brani unici e coerenti con lo stile che gli artisti erano convinti avrebbero avuto nel futuro. A sentirli oggi, vengono quasi i brividi.
“Wings of Time” ci ha regalato quindi un’immagine molto umana di Wenders, un artista attento, eclettico e destinato a emozionarci ancora. E, nell’attesa che “Every Thing will be fine” arrivi nelle sale, possiamo rivedere due pietre miliari della sua filmografia – oggi e mercoledì 25 febbraio - al cinema.
Vissia Menza
Wim Wenders at HAU Hebbel am Ufer © MaSeDomani