WINTER. Paesaggi dell'anima.

Da Nina

Come promesso sono qui a proseguire il racconto iniziato col post precedente. Perché manca una parte consistente di quello che questo natale ha significato nella mia esistenza, nel mio percorso di crescita ed evoluzione personale. Si perché - come già anticipato - ha coinciso con una sorta di rinascita interiore, di emancipazione vera dal dolore. Un dolore sordo e martellante che queste feste custodivano dentro, per me, come uno scrigno, anno dopo anno.Mia madre, la sua assenza, il ricordo forte e vivido del decorso della sua malattia, tutto quel che occhi di figlia non dovrebbero mai vedere. Mai. E proprio i giorni che più avrebbero dovuto unirci, tenerci vicine nella gioia, ci hanno viste separarci piano piano, per sempre, nello strazio.
Ogni Natale una ricorrenza da dimenticare. Ogni capodanno un nodo che strozza la gola in un singhiozzo. Perché a lei? Perchè così? E il pensiero della prossima primavera che mai più l'avrebbe vista a naso in sù, ad ammirare cieli e nuvole, rami e germogli appena nati e fiori e foglie e tutta quella grazia che lei portava nel suo nome.Forse è proprio per questo che, nel momento di massima apertura, ho scelto di riprendere in mano la mia Nikon e ho sentito forte la spinta ad ampliare lo sguardo e allargarlo, fino ad andare oltre il mio mondo di adesso, così come lo conosco: lui che è tutta la mia vita e tutta la contiene. Simone. E inconsapevolmente è proprio lassù che sono andata a cercarmi, a cercare lei, forse. Tra i rami asciutti e scarni che si stagliano nell'azzurro cristallino, tra quelle dita d'albero secche, che premono verso il cielo, spingono e scavano l'aria come a volerlo toccare. Il cielo, lì dove adesso immagino sia lei, lieve e leggera, senza più il peso di un corpo ingombrante, goffo e dolorante, quel corpo che l'ha tradita, di quel male che l'ha divorata da dentro, come un animale affamato.Lassù, dove nessuna malattia ci porterà più via.E lì ci siamo ritrovate. Quelle mani d'albero sono le mie, adesso lo so. Le mie che si allungano e disegnano figure stilizzate, ricordi di una vita passata insieme, messaggi d'amore per lei. Mani che la cercano, nel desiderio di toccarla ancora una volta, un'ultima volta. Mani che la trovano, in quella pace fatta di silenzi, di sussuri, di violetto e magenta, di azzurro e bianco. Di blu profondo e nero come gli occhi che sanno leggere l'anima.
Ho sempre amato gli alberi, le loro forme maestose e imponenti, la loro solidità, la loro presenza rassicurante. Loro sono - per me - mio nonno, mio padre e ora anche mia madre.Sono me, che da loro discendo e nel sangue mi scorre quella forza ostinata, quella spinta cieca alla vita, quella voglia di celebrarla sempre e comunque, anche nella salita, nella fatica. Che nel dolore e nella perdita non c'è mai sconfitta se quel seme di sofferenza si trasforma e genera altra vita.
In questo intreccio di rami io ritrovo il senso di una famiglia d'origine che non ho più, ma che mi porto dentro come un'eredità immensa, tesoro inestimabile. Un'eredità preziosa fatta di esperienze concrete, di vita vissuta.
Di giochi all'aperto, risate fresche che illuminano viso e bocca.
Di spazi e luoghi condivisi, stretti stretti, vicini vicini.
Di fili di lana e ferri che li intrecciano.
Di album e foto, tante foto.
Di libri letti insieme, ad alta voce, o nella testa, da soli.
Di vinili da 'mettere su' e far girare sul piatto del giradischi.
Di canzoni urlate in macchina, più che cantate.
Di De André e la sua Franziska.
Di pomodori e passate, di 'brugnoli e persiche' e marmellate.
Di campagna, natura, sassi e margherite. Di conigli e papere e gatti.
Di parole crociate. Di parole dette in faccia e quando non ci si riusciva proprio, allora comunque scritte e mai taciute. Purché escano fuori, perché ciò che resta dentro secca al buio della solitudine.E quando riguardo quelle foto - le foto dei tempi che furono - piango ancora, si, perché fa male, ma stavolta il peso sul petto non lo sento più. Sono lacrime commosse, grate, lacrime di nostalgia indicibile, di malinconia e tristezza, lacrime di tenerezza infinta. Quella è la voce del cuore che viene a dirmi la sua verità:
Che almeno io quell'amore così tanto, così pieno e forte l'ho avuto, l'ho provato. 
La mia fortuna è stata averli avuti dalla mia,  quegli alberi maestosi lì, per un bel pezzo di strada.
A mia madre - e a quel che lei rappresenta per me - io dedico queste foto.
Diosolosa quanto mi manca, ogni singolo giorno della mia vita. Non c'è n'è uno che si salva.
We would meet again, some sunny day... (Vera - Pink Floyd - da The Wall) Colonna sonora ideale di questo piccolo viaggio dell'anima)




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