A quattro anni dal precedente capitolo, Hugh Jackman torna per la sesta volta a interpretare il personaggio di Logan con una nuova avventura solitaria, che – nelle parole scaturite dalla Fox fin dall’inizio della sua produzione – avrebbe finalmente dovuto accontentare gli appassionati.
Sia chiaro, Wolverine – L’immortale non è assolutamente un brutto film, e paragonandolo alla pellicola di Gavin Hood si nota decisamente una virata verso altri temi e atmosfere, verso il volere portare sullo schermo un Logan più profondo e intimista, ricollegandosi agli eventi visti alla fine di X-Men – Conflitto Finale.
Ritroviamo infatti il protagonista dilaniato da incubi e sensi di colpa e ormai ridotto a uno status di emarginato nei boschi, dove cerca di portare avanti la sua esistenza scollegandosi da tutto e tutti, rifiutando anche la propria identità di Wolverine.
Qui viene rintracciato dalla giovane Yukio (Rila Fukushima), incaricata di portarlo in Giappone dal proprio capo, il maestro Yashida (Hal Yamanouchi), potente uomo d’affari giapponese ma anche l’uomo a cui Logan aveva salvato la vita anni prima a Nagasaki. Yashida promette di ricambiare il favore liberandolo dal fardello che si porta da anni: la sua immortalità data dal fattore di guarigione.
Invischiato nei loschi complotti interni alla famiglia Yashida, Logan dovrà al tempo stesso proteggere la giovane Mariko (una incantevole Tao Okamoto), obiettivo della Yakuza, e cercare di ritrovare la sua strada e il suo posto nel mondo, oltre a guardarsi dalla perfida Viper (Svetlana Kodchenkova).
Una trama nei piani avvincente, che però in due ore non ha guizzi particolarmente convincenti, soprattutto per via di una prima parte iniziale decisamente debole e fin troppo introduttiva. Da una parte infatti abbiamo alcune componenti interessanti come l’atmosfera e le rigide tradizioni giapponesi, a cui fa da contraltare lo stesso protagonista (come noto non molto ligio al rispetto delle regole) e le numerose sequenze flashback con Jean Grey (Famke Janssen) che si sottolineano come tra le più riuscite; d’altra parte non si può dire altrettanto dello sviluppo della sceneggiatura nell’approfondire temi quali la mortalità e il dolore (non solo fisico ma anche psicologico) vissuto dal protagonista. Argomenti il più delle volte solo abbozzati e non pienamente sviluppati, come se lo stesso regista avesse in certi punti tirato il freno a mano.
Anche nel plot principale appare come se James Mangold (in questo film decisamente anonimo nella regia) volesse portare lo spettatore stesso a diramare la matassa degli intrighi che colpiscono il clan Yashida, posticipando troppo spesso le risposte, che nel finale appaiono quindi abbastanza prevedibili.
Funzionano comunque quasi tutti i personaggi, tra i quali spiccano quelli femminili come Yukio e soprattutto Mariko, quest’ultima ben delineata grazie anche alla sensibile interpretazione della Okamoto. Jackman dal canto suo non sbaglia e dimostra come sempre la ormai piena aderenza al personaggio, da lui incarnato da ormai più di dieci anni.
Non funziona invece la letale Viper, quasi una figura di contorno nel contesto della trama, dalla quale non spicca nemmeno nella parte finale. Ottime per una volta invece le coreografie delle scene d’azione e di lotta, anche se quella intravista nei trailer con Wolverine contro un plotone di ninja è stata fortemente tagliata.
Un’opera che convince a metà quindi, e che ancora una volta rimanda a un terzo capitolo la realizzazione di un film definitivo sul personaggio, in attesa della prossima pellicola sui mutanti Marvel, di cui una sequenza durante i titoli di coda fornisce un primo assaggio.
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